Storia E Strategia Della Pirateria Barbaresca (Secc. XVI .

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Vincenzo ScarpelloVincenzo ScarpelloStoria e Strategia dellaPirateria Barbaresca(Secc. XVI – XIX)

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2010Vincenzo ScarpelloTutti i diritti riservati. È vietata per legge la riproduzione ancheparziale e con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazione scrittadell’autore.Il presente saggio è pubblicato sul sito www.culturasalentina.itper autorizzazione espressa dall’autore.3

Vincenzo ScarpelloStoria e Strategia della Pirateria Barbaresca(Secc. XVI – XIX)4

IntroduzioneUna classificazione definitoria del vasto insieme di operazioninavali, di attacchi e di incursioni che movimentano le acque ele coste mediterranee nel corso dei secoli XV-XIX può esseretentato solo a partire dalla fine del XV secolo, allorquandol’endemica piaga della pirateria, che poteva vantare “nobiliorigini” sin dai tempi dei fenici e del Bellum pyraticumcondotto da Gneo Pompeo Magno, assunse una diversafisionomia, in relazione dell’utilizzo strategico che di essa fecel’Impero Ottomano.Prima di allora flottiglie di pirati colpivano in manieradisorganica ed indifferenziata le navi commerciali chesolcavano il Mediterraneo, prendendo prigionieri (soprattuttose personaggi illustri) e pretendendo somme per i riscatti.Talora questi predoni del mare arrivavano anche a compierepiccole scorrerie nell’entroterra, devastando con brevi edintense azioni di cavalleria leggera masserie e villaggi costieriprivi di protezione.Dalla fine del XV secolo in poi alla figura del pirata sisovrappose e si sostituì quella del corsaro, essenzialmente glistessi individui che facevano uso dei medesimi sistemi,connotati da un “plus” che ne attribuiva un’identità strategicadifferente.Questo “plus” consisteva nell’autorizzazione, o addiritturanell’incarico, da parte di un governo regolarmente costituito,consistente il più delle volte in una lettera di marca, con laquale il sovrano dava facoltà ad un capo corsaro di arrembarecon una nave armata in corsa i mercantili nemici in nome didiritti, veri o falsi che fossero, che questo governo rivendicavasu una data zona di mare o sulle navi di un altro Stato.5

In realtà non era sempre possibile distinguere con precisione ledue figure essendo l’una derivazione dell’altra ed importandorelativamente ai comandanti dei mercantili che i pirati agisseroin conto proprio o su ordine di un Sovrano.Questo fatto interessava più agli stati marittimi, che, una voltaindividuato il paese che reclutava i corsari, potevano regolarsidi conseguenza apprestando le relative contromisurediplomatiche o di ritorsione militare.In verità il principale stato che utilizzava questo strumento adanno dei suoi nemici ed a beneficiare dei tributi dei piraticonsistenti in parte dei bottini, fu l’Impero Ottomano, chegiunse ad annoverare tra i comandanti della propria flotta, iKapudàn Pascià, nel “secolo d’oro della corsa”, il XVI, corsaricome Ariadeno Barbarossa e Sinam Pascià.I più valenti comandanti corsari erano generalmente cristianirinnegati (come lo erano i giannizzeri sulla terraferma), chevenivano rapiti dai pirati da fanciulli e da questi ultimi allevatiai cimenti del mare. Ciò costituisce un ulteriore conferma delfatto che l’istituzione militare ottomana dipendesse, nei suoireparti di elite, non solo da un reclutamento, ma anche da una“mentalità” occidentale, salvo il fatto che poi i fanciullidivenivano i più fanatici assertori della grande Jihad islamica.Questi “giannizzeri” del mare arrivarono a costituire una vera epropria forza navale proprio nel corso del XVI secolo,allorquando riuscirono ad esprimere una strategia volta abloccare le marine militari avversarie e proiettare sulla terraconsistenti contingenti. Anzi, nel corso del secolo, soprattuttocon Ariadeno Barbarossa, i corsari si sovrapposero e sisostituirono alla flotta dell’Impero Ottomano, che stavaconducendo in quegli anni una politica di espansioneterritoriale e di predominio geopolitico nel Mediterraneo e neiBalcani, pretendendo di sostituirsi allo sconfitto ImperoRomano d’Oriente, al quale si sarebbe presto dovuto6

aggiungere il predominio anche su quello d’Occidente,compresa la Roma dei “nazareni”, la leggendaria mela rossa,che faceva il paio con la mela d’oro, Vienna, che gli ottomanitentarono invano di cogliere.La pirateria e la guerra di corsa si sviluppano originariamentelungo passaggi obbligati. A Levante, le piccole isole del mareEgeo e dell'Asia Minore, le coste della Turchia e della Croazia;a Ponente, le isole Baleari, le isole siciliane, quelledell'arcipelago toscano, le coste della Sardegna, della Corsica equelle maghrebine.La modalità operativa che i pirati prevalentemente adottavanonel corso delle scorrerie rispondeva ad un canone strategicoprestabilito, consistente in un iniziale appostamento inun’insenatura o dietro ad un isolotto, nell’attesa del passaggiodella nave bersagliata.Con un’azione navale rapida, facilitata dall’utilizzo di navi aremi molto agili e con maggiori capacità di manovra (fuste egalere), veniva tagliato il passo alla nave-preda sulla quale sitentava poi l’arrembaggio. Impadronitisi delle mercanzie, dellevettovaglie, quando non dei rifornimenti militari, i corsariprendevano prigioniero l’equipaggio, che veniva condotto nei“bagni penali” di Barberia, dove i malcapitati prigionierivenivano usati come schiavo, nell’attesa di un riscatto da partedei paesi dai quali l’equipaggio proveniva.Le operazioni navali avevano inizio prevalentemente conl’acquietarsi delle perturbazioni invernali, coincidenti conl’aprile e maggio di ogni anno, concludendosi col ritorno diesse nei mesi di ottobre.Le acque calme del Mediterraneo e lo spirare di poco vento,consentivano alle flotte corsare, che utilizzavanoprevalentemente navi a remi, di avere il sopravvento sulle lentenavi commerciali e, soprattutto nei secoli XVII e XVIII, suivelieri delle flotte cristiane.7

Contro i corsari gli stati colpiti utilizzarono una differentestrategia: dapprima predisposero grosse flotte, che davano lacaccia ai navigli nemici, ma che avevano l’inconveniente dinon poter rimanere a lungo in mare, a causa degli elevati costidi mantenimento, e di dover puntare su di un obiettivo allavolta, dovendo essere contemporaneamente necessaria lamassima precisione nello spionaggio, quella che oggichiameremmo “intelligence”, e la fortuna nella precisaindividuazione della flotta corsara. Le campagne navali deglistati cristiani non potevano quindi in nessun caso concludersicon un nulla di fatto, mentre quelle dei pirati, male cheandasse, tornavano comunque nei porti con le navi con la stivacarica di prede e di schiavi.In un secondo momento, alla fine del XVI secolo, una secondastrategia fu adottata, mediante la costituzione di Ordinicavallereschi che adottavano in mare una vera e propriacontroguerriglia, utilizzando la medesima strategia dei corsari(tra l’altro tali ordini facevano uso di un tipo di naviglio cheaveva le stesse caratteristiche di quello dei pirati) e compiendoincursioni nei porti dai quali le navi ottomane partivano.Nell’ultima fase prese vigore, accanto al controllo delle rotte,anche la tattica del blocco dei porti a cui si aggiunse la nonsempre conveniente e poco efficace via diplomatica dei trattatidi reciprocità, diffusasi soprattutto nel XVII secolo.Nel Corso del XVIII secolo furono stabiliti trattati tra gli staticristiani volti a porre fine all’attività dei corsari, che riprendevaperò sistematicamente vigore in coincidenza di nuove guerre.Il secolo XIX segnò il definitivo tramonto della corsa,ritornata, almeno da un secolo, al livello di modesta pirateriache aveva nel 1400.Per secoli la piaga piratesca è stata considerata qualcosa diendemico, contro la quale si doveva comunque avere a chefare, e la si contrastava esclusivamente nella misura in cui le8

azioni dei pirati fossero dirette contro il proprio commercio e leproprie coste.Il termine medesimo di guerra di corsa non aveva un’accezionenegativa per l’uso, comunemente invalso da parte di tutti igoverni, di servirsene sia per la difesa, sia per azioni di guerra.9

La geopoliticaDal contesto storico di partenza a Carlo V, fino alle guerredel 600 tra Spagna, Inghilterra, Francia e Paesi BassiLa corsa dei barbareschi si inserì nell’ambito geopolitico delloscontro tra le superpotenze europee per il controllo dei trafficimediterranei, in un secolo, il XVI, nel quale il Mediterraneocontinuava ad essere il centro delle rotte commerciali cherifornivano l’Occidente, nonostante la recentissima scopertadel Nuovo mondo. Occorre fornire una visione d’insieme chevede l’espansionismo ottomano, del quale la corsa barbarescacostituì il principale strumento navale, incunearsi nello scontrotra Spagna e Germania da un lato (dapprima con l’unificazionedelle due corone nella persona dell’Imperatore Carlo V, e poicon la politica perseguita nei due stati dai suoi successori) eFrancia dall’altro, con gli stati italiani a fare ora da teatro diquesto scontro, ora a rendersi veri e propri strumentidiplomatici a favore dell’una o dell’altra parte.Il mutamento geopolitico avvenuto nel secolo successivo, conl’ingresso nel panorama europeo e mondiale di nuove potenzeche incentravano sul dominio navale la propria politica dipredominio (Inghilterra e Olanda) complicò ulteriormente lagià intricata rete di rapporti diplomatici dai quali gli Statibarbareschi seppero sempre trarre un vantaggio immediato.Da un punto di vista istituzionale gli Stati barbareschi, checostituirono sempre l’avamposto in profondità della politicamilitare ottomano, quando proprio non assunsero la fisionomiadi veri e propri stati vassalli, nacquero in seguito alla cacciatada parte dei re cattolicissimi di Spagna, che avevano da pococoncluso l’estenuante opera di Riconquista di tutto il suolospagnolo, dei mori di Spagna, che costituirono il nerbo deiprimi contingenti corsari. Le popolazioni nordafricane ebbero10

pur un certo rapporto con la pirateria, ma non si era ancoracreata quella sinergia tra popolazione dell’interno e ciurmecorsare che caratterizzò, con alterni fasi di “idillio” e discontro, la storia delle Reggenze dell’Africa settentrionale. Ilrapporto con i pirati si basava su di un patto di reciprocità, chevedeva gli arabi nordafricani tollerare la presenza sul loroterritorio delle navi piratesche, che si rifugiavano nei porti enelle città di Algeria, Tunisia e Libia, in cambio delle ricchezzescaturenti dal commercio delle prede di guerra, al qualepartecipavano anche gli stati “cristiani”, soprattutto nel portofranco di Livorno, e della fiorentissima tratta degli schiavi.La composizione delle flotte piratesche era oltremodo varia:non si poteva con precisione delineare una fisionomia o unacaratterizzazione che non trovasse un punto di sintesi nel solofatto di essere pirati.Il ruolo dei corsari nelle lotte di successione dei RegniitalianiAnche nell’ambito della storia degli stati italiani si puòaffermare che i corsari assunsero un ruolo strategico, distabilizzazione del mantenimento di equilibri di potenzaconsolidati. Se tutti gli stati italiani si proponevanosolennemente di sconfiggere la piaga della corsa, in tutte lecircostanze nelle quali si sarebbe potuto definitivamentedebellare decisivamente il nemico, gli stessi, per i soliti dissidie per la politica di reciproca influenza, concessero sempre unavia di fuga al comandante corsaro di turno, quando non, comenel caso di Andrea Doria nella battaglia di Prevesa nelsettembre 1538, accadde che l’inerzia dei comandanti fufondamentale per la vittoria delle armi corsare.Proprio per questo motivo la piaga dei corsari non fu maidebellata, pur disponendo i soli stati italiani dei mezzi e degli11

uomini ampiamente capaci di cancellare le ciurmaglie aservizio dell’Impero Ottomano, contro il quale, e la scarsavolontà di sfruttare vittorie decisive lo dimostra, non fu maiassestato un colpo di grazia in irripetibili occasioni didebolezza e di dissidi interni della compagine ottomana.Dissidi interni che furono non solo il pretesto di reciprocheaccuse per gli stati italiani medesimi, ma anche l’occasione perintessere machiavellici rapporti diplomatici tra stati cristiani ereggenze barbaresche, sfociati talora in veri e propri accordicon l’Impero Ottomano, come quello che passerà alla storia colnome di “Empia Alleanza”, ossia quella in funzioneantispagnola stipulata tra la Francia di Francesco I e l’ImperoOttomano di Solimano il magnifico nel 1537.Attività diplomatica dei barbareschi?La fisionomia di veri e propri stati assunta dalle reggenzebarbaresche ebbe un rilevante riflesso anche a livellodiplomatico. Pur costituendo, nella prima fase della loro storia,stati vassalli dell’Impero Ottomano, ciò non escluse un certomargine di autonomia nel rapportarsi con gli stati con i qualiessi vennero a scontrarsi. Senza addentrarci nella pur presentediplomazia sotterranea, fatta di patti non scritti di nonaggressione, di contrasti dissimulati, e di sgarri restituiti,basterà rilevare come la diplomazia barbaresca potè godere diun progressivo margine di movimento da parte del Sultano sindal momento della fondazione degli stati, margine che andòprogressivamente allargandosi, fino a quando nel XVII secolonon si affermò una vera e propria indipendenza formale deglistati barbareschi dalla Porta. Il XVII ed il XVIII secolo furonoinfatti gli anni in cui le diplomazie europee facevano edisfacevano trattati con le diverse reggenze, costruendo un12

intricatissimo sistema di accordi diplomatici che reggevageneralmente per poco tempo.Le prove di forza delle potenze occidentali, attuate tramite ilcannoneggiamento delle coste (quindi la distruzione di arsenali,cantieri e navi), era lo strumento col quale le potenze europeegiocavano, per convincere le reggenze a preferire un’alleanzaanziché un’altra.La breve durata delle tregue sarà proprio l’elemento scatenantedella fine dei regni dei barbareschi, intervenendo gli statieuropei direttamente a debellare la piaga corsara, non per finidi “giustizia internazionale”, ma perché il conflitto per ilpredominio europeo si era geostrategicamente riportato tanto inambito continentale, quanto oltreoceano. A questo si aggiungal’indebolimento progressivo che la Spagna andava subendo (edil mutamento degli equilibri strategici in Italia di riflesso) e lalenta ed inesorabile decadenza della Repubblica di Venezia.Nel corso del XVII secolo si potè assistere anche aldeterioramento dei rapporti diplomatici tra reggenzebarbaresche e Francia, tradizionale alleata nel corso delprecedente secolo dell’Impero Ottomano, a dimostrazione delfatto che l’autonomia delle reggenze dal potere centrale diIstanbul si rifletteva anche a livello di “politica estera”,culminata a livello istituzionale con l’invio nel 1690 aVersailles di rappresentati diplomatici della reggenza di Algeri.Atlante delle razze dei corsariNon si può, come accennato, delineare con precisione unacomune identità etnica dei corsari barbareschi, essendo pernatura costituiti da una congerie di ceffi la cui provenienza erala mistura di tutte le razze che popolavano le sponde delMediterraneo.13

Di certo un primo nucleo fu costituito dai Mori cacciati dallaSpagna nel 1492 da Ferdinando ed Isabella, che si integraronocon le popolazioni arabe dei regni del Nordafrica. A questi siunirono reietti di ogni provenienza, prevalentemente da Greciaed Italia.Un discorso a parte meritano i cosiddetti rinnegati, cioè icristiani catturati durante le incursioni che o, da piccoli,venivano educati nella cultura islamica ed iniziati al mestieredella corsa, o, già grandi, presi schiavi o volontariamenteconvertiti all’Islam, facevano parte delle ciurme barbaresche. Icorsari chiedevano prova della veridicità di tali conversionichiedendo a tali rinnegati di compiere scorrerie contro i propripaesi di origine, ragione che spiega l’estrema precisione con laquale venivano compiuti gli assalti.Le truppe che erano stanziate nelle reggenze dei barbareschi,erano prevalentemente giannizzeri, un corpo di per sé costituitoda “nuovi guerrieri”, cristiani rinnegati ed educati nel culto delSultano. Anche qui l’estrema promiscuità etnica eradecisamente riaffermata, costituendo i tratto distintivo a livellorazziale delle soldatesche e delle ciurme di questi stati.Nei secoli successivi al XVI, alla componente etnica originariasi aggiunsero francesi, inglesi, ma soprattutto olandesi, che,forti della supremazia conquistata oltreoceano, volevanocontendere anche nel Mediterraneo la palma di superpotenzanavale a Francia e Gran Bretagna.Struttura sociale ed economica dei regni barbareschiBagni penali, schiavi e riscattiDi certo la struttura degli Stati rispondeva ad un esigenza diproiezione economica sul mare, tradizionalmente dipendendogli stati dell’Africa del nord dalla pesca e dai commerci delle14

rotte carovaniere dei deserti, che fornivano agli stati rivieraschistoffe e spezie. Agricoltura ed allevamento erano appenasufficienti a garantire il sostentamento delle popolazioni,nonostante quelle terre fossero state nei secoli passati i granaiche mantenevano tutta l’Italia romana.I moriscos cacciati dalla Spagna costituirono, oltre chel’iniziale nucleo dei corsari, anche la casta di commercianti edartigiani, a dimostrazione di un’occidentalizzazione profondatanto nella perizia tecnica, quanto nelle capacità commerciali.Lo scambio commerciale, in realtà, con gli stati cristiani nonvenne mai meno, e non solo con “l’alleata” Francia. Certo neiperiodi di maggiore scontro il flusso commerciale subìprovvisorie interruzioni, ma subito dopo riprese il suo corso.L’attività corsara costituiva un plus qualificante, fonte diintroiti di cui poi godeva tutta la popolazione. Si può azzardarea sostenere che l’economia di buona parte delle reggenzedipendesse proprio dalla Corsa.Innanzitutto le prede alimentari, che nel peggiore dei casivenivano comunque portate nei porti e delle quali fruiva tutta lapopolazione, che festeggiava l’arrivo vittorioso delle navicorsare.Poi le prede di materiale prezioso, come stoffe, mobili, moneted’oro, gioielli, che venivano ripartite tra Pascià, cui spettava tral’ottavo (ad Algeri) o il decimo (a Tunisi o Tripoli) del totale,un quinto era devoluto alle spese relative a custodia e venditadel bottino, un centesimo alla manutenzione del porto ed unaltro centesimo all’Imam del luogo; il resto veniva ripartito traRaìs e ciurme.Un’altra e non minore forma di introito dalle scorrerie derivavadal commercio degli schiavi che venivano distinti a secondache fossero personaggi di rango ragguardevole oparticolarmente facoltosi, o semplici villici o soldati.15

Nel primo caso il commercio dei riscatti consentiva di fornireun introito sempre regolare, cercando abboccamenti coifamiliari delle vittime (e spesso ciò avveniva grazie allacomplicità di mediatori “cristiani” che ottenevano una parte delriscatto), e di richiedere una somma rapportata tanto al rangoquanto alla ricchezza dimostrata o conoscibile (spesso icatturati simulavano miseria, affinché il riscatto fossediminuito).Nel secondo caso tanto gli schiavi fornivano una manodoperagratuita, tanto sulla terra quanto sulle navi come rematori, mavenivano venduti come manovalanza in veri e propri mercati,che avvenivano nelle vicinanze dei bagni penali.Le donne più belle erano destinate alla concupiscenza dei raìs ele più fortunate potevano aspirare a far parte degli harem deiPascià.I bambini venivano educati nella religione islamica alle artidella guerra e della corsa, e molto spesso rinfoltivano i ranghidi giannizzeri e corsari.Per il riscatto degli schiavi furono istituite delle confraternitecaritatevoli, primi fra tutti i trinitari, con il compito diraccogliere elemosine presso gli stati cristiani, e riscattaresingoli o gruppi di schiavi. Ovviamente in Barberia costorogodevano di un particolare salvacondotto, ed erano ben vistidai corsari, dato che intavolavano con essi vere e proprietrattative commerciali, volte alla liberazione degli schiavi.Contrariamente a quanto si pensa, gli schiavi godevano anchedi una certa libertà religiosa,

venivano rapiti dai pirati da fanciulli e da questi ultimi allevati ai cimenti del mare. Ciò costituisce un ulteriore conferma del fatto che l’istituzione militare ottomana dipendesse, nei suoi reparti di elite, non solo da un reclutamento, ma anche da una “m

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