Vita Di Pi - Edizioni Piemme

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yann martelVita di PILife of PiTraduzione diClara Nubile

Titolo originale: Life of Pi 2001 by Yann Martel Published by arrangement with Marco Vigevani Agenzia Letterariaand Westwood Creative Artists Ltd.Disegni nel testo: C.S. RichardsonL’Editore ringrazia ilCanada Council for the Arts e il Canadian Department ofForeign Affairs and International Trade per il loro contributo all’edizione del volume.ISBN 978-88-566-3037-4Nuova edizione, dicembre 2012 2003 - Edizioni Piemme Spa, Milanowww.edizpiemme.itAnno 2012-2013-2014 -  Edizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10Stampa: Mondadori Printing Spa - Stabilimento NSM - Cles (TN)

CAPITOLO2Á un uomo piccolo e snello. Un metro eVive a Scarborough. Esessantacinque di altezza. Occhi e capelli scuri. Un po' di grigiosulle tempie, carnagione di un gradevole color caffeÁ. Non supeÁ una mite giornata d'autunno e il ristoranra i quarant'anni. Ete non eÁ lontano, eppure indossa unpesante, con il cappuccio foderato di pelliccia. Ha il viso espressivo. Parla veloce,gesticolando. Niente convenevoli. Passa subito al dunque.parkaCAPITOLO3Mi hanno dato il nome di una piscina. Cosa assai stravagante, considerato che i miei genitori non sapevano nuotare.Francis Adirubasamy fu una delle prime persone con cuimio padre ebbe rapporti di lavoro. Col tempo diventoÁ un caro amico di famiglia. Io lo chiamavo Mamaji: mama in tamilsignifica zio e -ji eÁ un suffisso che in India esprime rispetto eaffetto.Da giovane, prima ancora che io nascessi, Mamaji era stato un nuotatore professionista, campione del Sud dell'India.ConservoÁ l'aspetto del nuotatore per tutta la vita. Una voltamio fratello Ravi mi raccontoÁ che quando Mamaji era venutoal mondo non voleva smettere di respirare acqua; allora ildottore, per salvargli la vita, lo aveva afferrato per i piedi elo aveva fatto roteare in aria.«E funzionoÁ!» ripeteva Ravi, agitando freneticamente lamano sopra la testa. «Mamaji tossõÁ, sputoÁ l'acqua e comincioÁa respirare aria, ma tutta la carne e il sangue si concentrarono nella parte superiore del suo corpo. Ecco perche ha il torace cosõÁ grosso e le gambe cosõÁ sottili.»Non dubitai che Ravi dicesse la veritaÁ. (Mio fratello eraspietato nel punzecchiare la gente. La prima volta che di20

fronte a me si rivolse a Mamaji chiamandolo «Mister Pesce»,gli infilai una buccia di banana nel letto.) Persino a sessant'anni, quando Mamaji ormai era un po' curvo e la sua carne,dopo una vita di gravitaÁ anti-ostetrica, tendeva a cadere, faceva trenta vasche nella piscina dell'ashram di Aurobindotutte le mattine.Mamaji provoÁ a far da istruttore ai miei genitori: tuttoquello che ottenne fu che sguazzassero in poche spanne diacqua di mare, roteando le braccia in modo ridicolo. Quando si cimentavano nella rana, sembravano due esploratoriche nella giungla si aprivano un varco tra il fogliame; conlo stile libero, invece, davano l'impressione di precipitareda un dirupo. Ravi era ugualmente privo di talento.Mamaji dovette aspettare il mio arrivo per trovare un discepolo volenteroso. Quando giunse per me il momento diimparare a nuotare il giorno del settimo compleanno, secondo Mamaji ignorando l'angoscia di mia madre, lo ziomi portoÁ in spiaggia, spalancoÁ le braccia in direzione del mare e annuncioÁ: «Ecco il mio regalo».«Per poco non annegasti» commentava mia madre.Rimasi fedele al mio guru acquatico. Sotto il suo sguardovigile, mi sdraiavo a pancia in giuÁ sulla spiaggia, sbattevo legambe, raschiavo la sabbia con le mani, e giravo la testa aogni bracciata per respirare. Probabilmente sembravo unbambino che fa strani capricci al rallentatore.In acqua Mamaji mi teneva a galla e io ce la mettevo tuttaper riuscire a nuotare. Era molto piuÁ difficile che sulla sabbia. Lo zio peroÁ aveva una grande pazienza e mi incoraggiava.Quando decise che avevo fatto progressi sufficienti, abbandonammo le risate e le grida, le corse e i tuffi, le correntiverde-azzurro e le onde spumeggianti, per la forma rettangolare, la piattezza regolamentare (e l'ingresso a pagamento)della piscina dell'ashram.21

Per tutta l'infanzia andai in piscina tre volte alla settimanainsieme a Mamaji: ogni lunedõÁ, mercoledõÁ e venerdõÁ compivoil mio rituale mattutino con la regolaritaÁ impeccabile di unaperfetta bracciata a stile libero. Ricordo la dignitaÁ con cui ilvecchio si spogliava davanti a me: il suo corpo emergeva lentamente man mano che con cura si toglieva i vestiti; all'ultimo momento si voltava per salvare il decoro, e indossava unmagnifico costume da atleta, di fattura straniera. Poi raddrizzava la schiena ed era pronto. Gli esercizi a cui mi costringeva erano estenuanti, ma io provavo un piacere intensonel rendere le mie bracciate sempre piuÁ veloci e sicure, fino aquando cadevo in uno stato ipnotico e l'acqua si trasformavain luce liquida.Ritornai al mare senza di lui, in preda a un eccitante sensodi colpa; ero attratto dalle creste maestose che si infrangevano sulla battigia, dalle onde piuÁ piccole che la lambivano, come dolci lacci smaniosi di catturarmi.Quando avevo piuÁ o meno tredici anni, il mio regalo dicompleanno per Mamaji furono due vasche a farfalla, eseguite in modo piuÁ che dignitoso. Alla fine ero cosõÁ stremato chenon riuscii neppure a fargli un cenno con la mano.Oltre al nuoto, c'erano le conversazioni sul nuoto. Eranole preferite di mio padre. PiuÁ resisteva all'idea di impararepiuÁ desiderava farlo. Pensare al nuoto lo distraeva dalle incombenze quotidiane dello zoo. Era cosõÁ rilassante occuparsidi una vasca d'acqua, se non era abitata da un ippopotamo.Grazie all'amministrazione coloniale Mamaji aveva studiato per due anni a Parigi, dove se l'era spassata comemai nella vita. Era stato nei primi anni Trenta, quando ancora i francesi si sforzavano di gallicizzare Pondicherry propriocome gli inglesi cercavano di britannicizzare il resto dell'India. Non ricordo esattamente quale fosse il suo campo distudio. Qualcosa che aveva a che fare con il commercio, credo. Le storie che raccontava su quel periodo erano eccezio22

nali, ma non parlava dei suoi studi o della Torre Eiffel o delLouvre o dei cafeÂs sugli Champs-ElyseÂes. Le sue erano sempre e solo storie di piscine.La piscina Deligny, per esempio, la piuÁ vecchia di Parigi,costruita nel 1796. Era una chiatta attraccata al Quai d'Orsay che nel 1900 aveva ospitato le gare di nuoto delle Olimpiadi. Ma i risultati non erano stati riconosciuti dalla Federazione Internazionale perche la vasca all'aperto superavadi sei metri la lunghezza regolamentare. L'acqua arrivava direttamente dalla Senna, senza essere depurata ne riscaldata.«Era fredda e torbida» raccontava Mamaji. «Faceva giaÁ abbastanza schifo per il fatto di aver attraversato tutta Parigi, ela gente la sporcava ancora di piuÁ.» Poi, con sussurri da cospiratore e abbondanza di dettagli scioccanti, ci assicuravache i francesi avevano standard igienici a dir poco scandalosi. «Per non parlare di Bain Royal, un'altra latrina sulla Senna. Almeno a Deligny toglievano i pesci morti.» Ma una piscina olimpica restava una piscina olimpica, sfiorata dallagloria immortale. Anche se Deligny era una fogna, Mamajine parlava con un sorriso affettuoso.Le piscine ChaÃteau-Landon, Rouvert e quella del Boulevard de la Gare erano migliori: coperte, sulla terraferma eaperte tutto l'anno. Sfruttavano l'acqua condensata dai macchinari a vapore di alcune fabbriche della zona, che era piuÁpulita e piuÁ calda. Ma anche quelle erano abbastanza torbidee spesso troppo affollate. «In superficie galleggiavano talmente tanti sputi che sembrava di nuotare tra le meduse» ridacchiava Mamaji.Le piscine HeÂbert, Ledru-Rollin e Butte-aux-Cailles, senzadubbio le piuÁ belle fra quelle comunali, erano luminose, moderne, spaziose e alimentate da pozzi artesiani. C'era anche laDes Tourelles, l'altra grande piscina olimpica della cittaÁ,inaugurata durante i giochi del 1924. E tante, tantissime altre.Ma agli occhi di Mamaji nessuna eguagliava la gloria della23

piscina Molitor. Era il gioiello acquatico di Parigi, anzi, dell'intero mondo civilizzato.«Agli deÁi sarebbe piaciuto nuotare in quella piscina. LaMolitor vantava il club di nuotatori piuÁ forte di tutta Parigi.C'erano due vasche: una coperta e una all'aperto, ognunagrande come un piccolo oceano. Nella piscina coperta duecorsie erano riservate a chi si allenava. L'acqua era cosõÁ pulita e trasparente che avresti potuto farci il caffeÁ. Tutt'intorno si ergevano due piani di spogliatoi in legno bianco e blu.Da lassuÁ vedevi tutto e tutti. Gli inservienti segnavano leporte con il gesso quando le cabine erano occupate: eranovecchietti zoppicanti, gentili e burberi allo stesso tempo.Non battevano ciglio di fronte alle grida e ai giochi dellagente. Dalle docce uscivano getti d'acqua calda e rilassante.C'erano anche una sauna e una palestra. D'inverno, la piscina all'aperto si trasformava in una pista di pattinaggio. C'erauna caffetteria, una tavola fredda, un'ampia piattaforma perprendere il sole, persino due piccole spiagge di sabbia vera.Ogni piastrella, ogni centimetro di ottone o di legno risplendevano. Era, era.»Era l'unica piscina al mondo che lasciava Mamaji senzaparole; erano troppe le cose che gli tornavano alla memoria.Mamaji si abbandonava ai ricordi, mio padre ai sogni.Ecco perche quando sono nato tre anni dopo Ravi mihanno chiamato cosõÁ: Piscine Molitor Patel.CAPITOLO4L'India era una repubblica da soli sette anni quando si arricchõÁ di un piccolo territorio. Pondicherry entroÁ a far partedell'Unione indiana il primo novembre del 1954. Un eventodi tale portata andava opportunamente celebrato: una porzione del Giardino Botanico di Pondicherry venne offerta24

gratuitamente a chiunque avesse una brillante idea commerciale.Fu cosõÁ che in breve l'India si ritrovoÁ con uno zoo nuovodi zecca, progettato e gestito secondo i principi ambientalipiuÁ moderni.Era uno zoo enorme che occupava numerosi acri di terra,al punto che per una visita completa dovevi prendere il treno, anche se, man mano che crescevo, ogni cosa mi sembrava ridursi, treno compreso. Oggi eÁ tanto piccolo da entrareperfettamente nella mia testa. Immaginate un luogo caldo eumido, inondato di luce e colori. Un'esplosione incessante difiori. Un tripudio di alberi, arbusti e rampicanti: peepul egulmohur, ceibe rosse, jacarande, alberi di mango, del pane,e tanti altri che sarebbero rimasti anonimi se non fosse statoper le targhette scrupolosamente collocate alla base di ognitronco. Immaginate un luogo pieno di panchine. E sullepanchine uomini distesi a sonnecchiare, o coppie sedute,che si scambiano occhiate fugaci mentre le mani nervose sisfiorano. All'improvviso, in mezzo agli alberi che svettanotutt'intorno, spuntano due giraffe che vi osservano placidamente. Ma le sorprese non finiscono qui. Un attimo dopovi fanno trasalire le grida di un branco di scimmie, copertesolo dal verso acuto di uno strano uccello. Giungete a uncancello girevole. Pagate distrattamente il biglietto d'ingresso. Proseguite. Ecco un muretto. Cosa vi aspettate di trovarelõÁ dietro? Sicuramente non due rinoceronti immersi in unapozza d'acqua. Invece eccoli! E quando vi girate, vedetel'elefante, talmente grande che arrivando non l'avevate notato. Nel laghetto ci sono gli ippopotami a mollo. PiuÁ vi guardate attorno, piuÁ cose scoprite. Benvenuti a Zootown!Prima di trasferirsi a Pondicherry, mio padre gestiva ungrande albergo a Madras. La sua profonda passione per glianimali lo convinse a prendere in gestione lo zoo. Un passaggio naturale penserete voi dalla cura di un hotel alla cura25

di uno zoo. Niente affatto. Per molti aspetti, occuparsi diuno zoo eÁ la cosa peggiore che possa capitare a un gestored'albergo. Pensateci: i clienti non lasciano mai le camere; enon si accontentano di dormire, pretendono la pensionecompleta; ricevono di continuo frotte di visitatori, moltidei quali rumorosi e indisciplinati. Per pulire le camere bisogna aspettare che gli ospiti se ne vadano sul balcone se cosõÁpossiamo definirlo e per pulire i balconi bisogna aspettareche siano stufi del panorama e rientrino in camera; e quantoc'eÁ da pulire! Perche questi ospiti sono peggio dei barboni.Come se non bastasse, ogni cliente eÁ particolarmente esigente in fatto di cibo, si lamenta di continuo del servizio e nonlascia mai dico mai! la mancia. Per dirla tutta, molti diloro sono pervertiti: repressi cronici soggetti a esplosioni diincontrollata libidine, o viziosi del tutto privi di inibizioni.In entrambi i casi danno regolarmente bella mostra di seÂin osceni episodi orgiastici o incestuosi a beneficio dellostaff. Mettetevi nei panni di un albergatore: vorreste deiclienti cosõÁ?Lo zoo di Pondicherry era fonte di scarse soddisfazioni edi molti mal di testa per Santosh Patel, mio padre, fondatore, proprietario, direttore, e manager di uno staff di cinquantatre persone.Ma per me lo zoo era il paradiso terrestre. Conservo solodolci ricordi della mia infanzia in quel luogo. Vivevo la vitadi un principe. Neppure il figlio di un maharaja avrebbe avuto a disposizione un posto tanto grande e meraviglioso pergiocare. Nessun palazzo poteva vantare un simile serraglio.Da bambino avevo un branco di leoni come sveglia mattutina. Non erano precisi come un orologio svizzero, ma ruggivano puntualmente fra le cinque e mezzo e le sei. La colazione era scandita dalle grida e dagli schiamazzi di scimmieurlatrici, gracole e cacatua delle Molucche. Quando uscivoper andare a scuola, non mi seguiva solo lo sguardo affettuo26

so di mia madre, ma anche quello vivace delle lontre, dei bisonti americani e degli oranghi. Sotto certi alberi passavo dicorsa, guardando in alto, per paura che mi piovessero in testa gli escrementi dei pavoni. Era piuÁ saggio camminare sotto le fronde colonizzate dai pipistrelli; a quell'ora, l'unico rischio era il loro concerto stonato. Mi fermavo poi davanti aiterrari a contemplare le rane verde smeraldo, gialle e bluscuro, marrone e verde pastello. Oppure mi lasciavo incantare dagli uccelli: fenicotteri rosa, cigni neri, casuari dall'elmo, o esemplari piuÁ piccoli come colombelle diamante, tortore dal collare del Capo, conuri nandaya, parrocchetti. Glielefanti, le foche, i felini e gli orsi dormivano ancora; mababbuini, macachi, cercocebi, gibboni, cervi, tapiri, lama, giraffe e manguste erano giaÁ svegli da un pezzo. Ogni mattina,prima di uscire dal cancello principale, lo zoo mi regalavaun'ultima immagine, ordinaria e allo stesso tempo indimenticabile: una piramide di tartarughe o il muso iridescente diun mandrillo, il silenzio enigmatico di una giraffa o la boccaspalancata grassa e gialla di un ippopotamo, un'ara macao che scalava il recinto di filo spinato, un becco a scarpache mi rivolgeva uno schiocco di saluto o un cammello dall'aria rimbambita e lasciva. Coglievo al volo quei piccoli tesori mentre affrettavo il passo per non fare tardi. Dopo lascuola, invece, lasciavo che l'elefante mi perquisisse lento emetodico a caccia di noccioline, o che un orango goloso dizecche mi spulciasse i capelli grugnendo deluso dalla miapulizia. Se solo riuscissi a descrivere il movimento perfettodi una foca che scivola in acqua, di una scimmia che dondolaritmicamente, o il semplice girare la testa di un leone. Ma leparole affondano in questi mari. Usate piuttosto l'immaginazione.Negli zoo, come in natura, i momenti ideali per le visitesono l'alba e il tramonto, quando gli animali sono particolarmente attivi. Lasciano le loro tane per raggiungere uno spec27

chio d'acqua. Si mostrano senza inibizioni. Canticchiano leloro canzoni. Si salutano e compiono i loro rituali. EÁ unagrande ricompensa per gli occhi che li guardano e le orecchie che li ascoltano. Ho trascorso moltissime ore a osservarein silenzio le mille, sofisticate espressioni della vita sul nostropianeta. Una moltitudine cosõÁ vivace, dissonante, bizzarra edelegante da incantare i sensi.Si sentono in giro tante sciocchezze sugli zoo, almenoquante capita di ascoltarne sul conto di Dio e sulla religione.Molte persone credono erroneamente anche se in buonafede che gli animali allo stato brado siano felici'' in quanto liberi''. Di solito hanno in mente un bel predatore, tipoun leone o un ghepardo (raramente si esaltano le gesta diuno gnu o di un oritteropo). Immaginano questo leoneche passeggia regale per la savana, o che si lancia in una lunga corsa dopo un pasto eccessivo. Lo vedono vegliare orgoglioso e tenero i suoi cuccioli, finche viene il tramonto e l'intera famiglia sdraiata su un ramo contempla il cielo sospirando di piacere. La vita di un animale selvatico eÁ semplice, nobile e piena di significato: cosõÁ crede la maggioranza dellagente. Poi il leone viene catturato da uomini malvagi chelo rinchiudono in un'angusta prigione. La sua felicitaÁ'' eÁ annientata. L'animale agogna disperatamente la libertaÁ e fa ditutto per scappare. La libertaÁ'' gli viene negata per troppotempo, allora il leone diventa l'ombra di se stesso, il suo spirito si spezza. Ecco cosa pensa la gente.Ma non eÁ cosõÁ.Gli animali selvatici vivono una vita di costrizione e necessitaÁ all'interno di una rigida gerarchia sociale, in un ambiente in cui la paura abbonda e il cibo scarseggia. Devonodifendere il proprio territorio e convivere con i parassiti. Sono soggetti a vincoli di natura spaziale, temporale e perfinorelazionale. In teoria, a livello di pura possibilitaÁ, qualsiasianimale puoÁ decidere di andare per la sua strada, di trasgre28

dire alle convenzioni sociali e ai limiti caratteristici della suaspecie. Ma nel mondo animale un evento del genere eÁ moltopiuÁ raro che nel mondo umano. Per intenderci, eÁ piuÁ facileche un commerciante condizionato dai consueti vincoli sociali famiglia, amici, colleghi molli tutto e si metta in viaggio con soltanto i vestiti che indossa e pochi spiccioli in tasca. Se l'uomo, la creatura piuÁ intelligente e audace, soloin rarissimi casi sceglie di peregrinare da un luogo all'altro,straniero ovunque e ignorato da tutti, perche dovrebbe farloun animale, che per natura eÁ molto piuÁ conservatore? PercheÂgli animali sono cosõÁ: conservatori, addirittura reazionari, semi passate il termine. Il minimo cambiamento li sconvolge.Gli animali preferiscono le cose stabili, uguali a se stesse,giorno dopo giorno, mese dopo mese. Non amano affattole sorprese. Prendete per esempio il loro rapporto con lospazio. Un animale si muove nel suo territorio nello zoocome nel suo habitat naturale secondo una logica, comein una partita a scacchi. Gli spostamenti di una lucertola,un orso o un cervo sono determinati dal caso e dalla libertaÁ'' quanto la posizione di un cavallo sulla scacchiera. CioÁvuol dire che in entrambi i casi ogni mossa eÁ l'effetto diuna strategia, e ha uno scopo preciso. Libero, un animaletorna, stagione dopo stagione, a percorrere sempre le stessestrade, per le stesse, impellenti ragioni. In uno zoo, a una data ora, ogni animale tende ad assumere una posizione specifica. Quando non succede, c'eÁ sempre una spiegazione, disolito una variazione anche minima nell'ambiente: l'aspettominaccioso di un tubo arrotolato dimenticato da un inserviente, una nuova pozzanghera, l'ombra proiettata da unascala a pioli. A volte peroÁ eÁ qualcosa di piuÁ grave: un sintomo, l'indizio di una tragedia imminente, ragione sufficienteper esaminare gli escrementi, interrogare il custode, chiamare il veterinario. Solo perche una cicogna non si trova al suosolito posto!29

Lasciate che approfondisca questo aspetto della questione.Se un giorno, sfondando la porta d'ingresso, piombaste incasa di qualcuno, cacciando fuori tutti quelli che ci abitano eurlando: «Andatevene! Siete liberi! Liberi come uccelli, liberi come l'aria! Via! Via!», credete forse che quelle persone viringrazierebbero? Nient'affatto. I poveretti protesterebbero:«Che diritto hai di cacciarci? Questa eÁ casa nostra. Abbiamovissuto qui per anni. Adesso chiamiamo la polizia, bruttomascalzone!».Avete presente il detto «Casa dolce casa»? Gli animali lapensano esattamente cosõÁ, sono creature che amano e difendono il proprio territorio. EÁ questa la chiave per comprenderli. Solo un territorio noto consente loro di rispettare idue imperativi assoluti della vita selvatica: evitare il nemicoe procurarsi cibo e acqua. Il recinto di uno zoo cosõÁ comeuna gabbia, una pozza, un isolotto, uno steccato, una volierao un acquario eÁ un territorio come un altro; unica particolaritaÁ: la vicinanza dell'uomo. Certo, eÁ molto piuÁ piccolo dicome sarebbe in natura, dove tra l'altro i territori sono vastiper necessitaÁ, non per scelta. Lo zoo eÁ per gli animali quelloche la casa eÁ per noi: un luogo circoscritto in cui viene raccolto e organizzato cioÁ che ci serve. Un tempo l'uomo vivevanelle caverne. C'era il fiume da una parte, il terreno di cacciadue chilometri piuÁ in laÁ, il posto di avvistamento in cima almonte e le bacche a fondo valle; il tutto brulicante di leoni,serpenti, formiche, sanguisughe e piante velenose. Oggi ilfiume scorre comodamente dal rubinetto, possiamo lavarcie dormire senza lasciare la zona notte, mangiare dove abbiamo cucinato.Una casa eÁ un territorio compresso, dove tutti i bisogniessenziali trovano ampia e agevole soddisfazione. Per un animale, il recinto di uno zoo che si rispetti eÁ la stessa cosa (ovviamente senza il camino e il videoregistratore). LõÁ l'animaletrova un posto di avvistamento, un angolo per riposare, uno30

per mangiare e bere, per lavarsi, asciugarsi e cosõÁ via. Equando capisce che puoÁ evitare di andare a caccia percheÂil cibo compare regolarmente sei volte a settimana, l'animaleprende possesso del suo recinto esattamente come farebbecon il territorio in natura. Lo esplora e lo marca con ritualitipici della sua specie, magari spruzzi di urina. Completato ilrituale di insediamento, l'animale diventa ufficialmente il padrone di casa, e si comporta di conseguenza. Se necessario,difenderaÁ il suo territorio con le unghie e con i denti. Per lui,il recinto non eÁ una soluzione peggiore o migliore del suo habitat di origine. Naturale o artificiale, un territorio eÁ talequando soddisfa i bisogni di un animale. Questo eÁ un datodi fatto indiscutibile, come le macchie sul manto di un leopardo. Pensateci. Preferireste alloggiare al Ritz con serviziogratuito in camera e tutte le cure di cui avete bisogno o vivere in mezzo alla strada? Ma gli animali non sono in gradodi scegliere. Si arrangiano come possono, nei limiti della loronatura.Uno zoo ben concepito eÁ un luogo di coincidenze bencalcolate: nel punto esatto in cui un animale ci dice «Fuori!»con l'urina o altre secrezioni, noi gli rispondiamo «Dentro!»con le nostre barriere. In queste condizioni di armonia diplomatica dove gli animali sono soddisfatti, e noi rilassati,possiamo osservarci a vicenda.Nella letteratura zoologica si trovano milioni di storie dianimali che hanno avuto l'opportunitaÁ di fuggire e nonl'hanno fatto, o che sono scappati per poi ritornare. Ricordoil caso di uno scimpanzeÂ. La porta della sua gabbia era rimasta aperta. Lo scimpanzeÂ, di solito un tipo tranquillo, comincioÁ a urlare e a sbattere freneticamente la porta. Il baccanocessoÁ solo quando il custode, richiamato da un visitatore,non si precipitoÁ a chiuderla. In uno zoo europeo un brancodi caprioli fuggõÁ dal recinto. Terrorizzati dai visitatori, si rifugiarono nella vicina foresta, dove giaÁ viveva un branco di31

caprioli selvatici e dove anche loro avrebbero potuto trovaredi che sostentarsi. Ma ben presto gli abitanti dello zoo feceroritorno al recinto. In un altro zoo, un dipendente che si recava al lavoro di buon'ora con il suo carico di assi di legnointravide un orso nella foschia mattutina. Con immenso orrore, si accorse che la belva lo puntava e si avvicinava rapidamente. LascioÁ cadere le tavole e se la diede a gambe. Lostaff dello zoo partõÁ immediatamente alla ricerca dell'orso.Lo trovarono nel suo recinto; si era rintanato nella stessa fossa da cui poco prima era scappato con l'aiuto di un troncospezzato. Probabilmente il rumore delle assi gettate a terragli aveva messo paura.Mi fermo qui. Non ho intenzione di difendere gli zoo.Chiudeteli pure tutti se volete, e speriamo che la vita selvatica trovi il modo di sopravvivere in quel poco di natura checi resta. Alla gente gli zoo non piacciono piuÁ, come le religioni, del resto. La persistenza di certe illusioni sulla libertaÁ affligge entrambe le cose.Lo zoo di Pondicherry non esiste piuÁ. Hanno colmato isuoi fossati, distrutto le sue gabbie. Lo posso visitare nell'unico posto che gli rimane: i miei ricordi.CAPITOLO5La storia del mio nome non si conclude con la sua origine.Se uno si chiama Bob, nessuno gli chiede: «Come si scrive?».Se invece si chiama Piscine Molitor Patel, le cose cambiano.Al posto di Piscine, c'era chi capiva Pi Singh, il tipico cognome dei Sikh. Pensavano percioÁ che fossi un sikh e si chiedevano come mai non portassi il turbante.Una volta, ai tempi dell'universitaÁ, feci una gita a Montreal con alcuni amici. Una sera toccoÁ a me ordinare le pizze.Non potevo tollerare l'idea che per l'ennesima volta qualcu32

no che conosceva il francese sghignazzasse per via del mionome, cosõÁ quando il tizio al telefono mi chiese: «Il suo nome, per favore?» risposi: «Sono fatti miei». Circa mezz'oradopo arrivarono due pizze per il signor «Sonny Fathimey».Le persone che incontriamo possono davvero cambiarci, avolte in maniera cosõÁ radicale che dopo non siamo piuÁ glistessi, neppure nel nome. Basta pensare a Simone, detto Pietro; a Matteo, chiamato anche Levi; a Nataniele che prese ilnome di Bartolomeo, a Giuda (non Iscariota), soprannominato Taddeo; a Simeone detto Niger, e a Saulo, ovvero Paolo.Io incontrai il mio soldato romano a dodici anni, una mattina, nel giardino della scuola. Ero appena arrivato. Mi vide.Un lampo maligno crepitoÁ nella sua mente spenta. AlzoÁ ilbraccio, mi indicoÁ e gridoÁ: «Ecco Piscia Patel!».Tutti scoppiarono a ridere. Si calmarono solo quandorientrammo in classe. Io ero l'ultimo della fila e sulla testaportavo la mia corona di spine.La crudeltaÁ dei bambini non eÁ certo una novitaÁ. Gli insulti aleggiavano nel giardino e trovavano le mie orecchie, senzache avessi fatto nulla per provocarli. «Corri Piscione, o te lafarai addosso.» «Ehi, Piscione, cosa fai vicino al muro, pisci?» eccetera. Io mi irrigidivo, oppure fingevo di non aversentito. L'eco degli insulti si spegneva, ma rimaneva l'offesa,persistente come l'odore del piscio vecchio.Cominciarono a prendermi in giro anche gli insegnanti.Per colpa del caldo. Col passare delle ore, la lezione di geografia, in mattinata compatta come un'oasi, si espandeva come il deserto del Thar; quella di storia, molto vivace nelleprime ore della giornata, diventava arida e spenta; quelladi matematica, cosõÁ precisa all'inizio, si ingarbugliava. Annientati dalla stanchezza pomeridiana, mentre si passavanoil fazzoletto sulla fronte e sul collo sudato, persino gli insegnanti dimenticavano completamente la fresca promessa acquatica insita nel mio nome.33

CosõÁ, senza alcuna intenzione di offendere o di suscitareilaritaÁ, lo distorcevano in modo vergognoso. La storpiaturaavveniva progressivamente, con un montare di modulazioniquasi impercettibili. Come se le loro lingue fossero calessitrainati da cavalli imbizzarriti. La prima sillaba, Pi, non eraun problema neanche nelle ore piuÁ calde, ma giaÁ allaseconda, sci, i destrieri avevano la schiuma alla bocca, diventati incontrollabili, si fiondavano su scione, e io ero perduto.Se alzavo la mano per rispondere a una domanda, l'insegnante mi incoraggiava «SõÁ, Piscione?», il piuÁ delle volte senza rendersene conto. Dopo un po' mi guardava con occhistanchi e si chiedeva perche tacessi. Capitava che anche icompagni, tramortiti dalla calura, dimenticassero di reagire.Non una risata, neppure un ghigno. Ma a me la storpiaturabruciava comunque.Passai l'ultimo anno alla St. Joseph sentendomi perseguitato come Maometto alla Mecca, pace su di lui. E cosõÁ comeMaometto pianificoÁ la sua egira a Medina, segnando l'iniziodel calendario musulmano, io programmai la mia fuga el'inizio di una nuova vita.Terminati gli studi alla St. Joseph, mi iscrissi al Petit SeÂminaire, una scuola superiore privata di lingua inglese, la migliore di tutta Pondicherry. Ravi la frequentava giaÁ, e cometutti i fratelli minori pagai lo scotto dell'eterno confrontocon i suoi successi e la sua popolaritaÁ. Era l'atleta piuÁ fortedel Petit SeÂminaire, temibile lanciatore e fortissimo battitore,nonche capitano della migliore squadra di cricket della cittaÁ.Il Kapil Dev locale, in altre parole. Che io fossi un buon nuotatore non aveva alcuna importanza: secondo una legge universale ancorche misteriosa la gente di mare diffida dei nuotatori e i montanari disprezzano gli alpinisti. Acquattarminell'ombra di qualcun altro non era la soluzione ai miei problemi, anche se avrei preferito qualsiasi nome a «Piscione»,persino «fratello di Ravi». Ma avevo un piano migliore.34

Lo misi in atto durante la prima ora di scuola. In classecon me c'erano altri ragazzi che venivano dalla St. Joseph.La lezione inizioÁ, come sempre il primo giorno, con le presentazioni. Dovevamo alzarci in piedi e scandire il nostro nome, seguendo l'ordine in cui eravamo seduti.«Ganapathy Kumar» esordõÁ Ganapathy Kumar.«Vipin Nath» cinguettoÁ Vipin Nath.«Peter Dharmaraj» disse Peter Dharmaraj.A ogni nome, l'insegnante faceva un segno sul registro edava un'occhiata allo studente per memorizzarlo. Ero moltonervoso.«Ajith Giadson» disse Ajith Giadson a quattro banchi dame.«Sampath Saaroja» continuoÁ Sampath Saaroja. tre banchi.«Stanley Kumar» fu il turno di Stanley Kumar. due banchi.«Sylvester Naveen» disse Sylvester Naveen. un banco.Toccava a me. Era giunto il momento di sconfiggere Satana. Medina, sto arrivando!Mi alzai dal banco e mi precipitai alla lavagna. Prima cheil professore potesse aprire bocca, afferrai il gesso e mentrescrivevo d

titolo originale: Life of Pi 2001 by yann martel Published by arrangement with marco Vigevani agenzia lett

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