Laudi Del Cielo Del Mare Della Terra E Degli Eroi

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Gabriele D'AnnunzioLaudidel cielo del mare della terra e degli eroiwww.liberliber.it

Questo e-book è stato realizzato anche grazie alsostegno di:E-textEditoria, Web design, Multimediahttp://www.e-text.it/QUESTO E-BOOK:TITOLO: Laudi del cielo del mare della terra e deglieroiAUTORE: D'Annunzio, GabrieleTRADUTTORE:CURATORE: Oliva, GianniNOTE: Contiene: Maia, Elettra, Alcyone, Merope,Canti della guerra latinaDIRITTI D'AUTORE: noLICENZA: questo testo è distribuito con la ://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/TRATTO DA: [2]: Laudi del cielo del mare della terrae degli eroi / Gabriele D'Annunzio. - Ed. integrale.- Roma : Grandi tascabili economici Newton, 1995. XXXVI, 587 p. ; 22 cm. – (Grandi tascabili economici; 303)Fa parte di Tutte le poesie.CODICE ISBN: 88-7983-757-51a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 23 febbraio 2010INDICE DI AFFIDABILITA': 10: affidabilità bassa

1: affidabilità media2: affidabilità buona3: affidabilità ottimaALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:Stefano D'Urso, stefano.durso@mclink.itEnzo Zanier, e.zanier@ud.nettuno.itREVISIONE:Stefano D'Urso, stefano.durso@mclink.itPUBBLICAZIONE:Catia Righi, catia righi@tin.itInformazioni sul "progetto ociazione culturale Liber Liber. Aperto achiunque voglia collaborare, si pone come scopo lapubblicazione e la diffusione gratuita di mazioni sono disponibili sul sito Internet:http://www.liberliber.it/Aiuta anche tu il "progetto Manuzio"Se questo "libro elettronico" è stato di tuogradimento, o se condividi le finalità del "progettoManuzio", invia una donazione a Liber Liber. Il tuosostegno ci aiuterà a far crescere ulteriormente lanostra biblioteca. Qui le istruzioni:http://www.liberliber.it/sostieni/3

GABRIELE D'ANNUNZIOLAUDI DEL CIELO DEL MAREDELLA TERRA E DEGLI EROI4

Alle Pleiadi e ai FatiGloria al Latin che disse: «Navigareè necessario; non è necessariovivere». A lui sia gloria in tutto il Mare!O Mare, accenderò sul solitariomonte che addenta e artiglia te (leonesculto da qual Ciclope statuario?)un salso rogo estrutto col timonee la polèna della nave rotta,che ha la tortile forma del Tritone.Il ricurvo timon per cui condottafu la nave nell'ultima procellacon la barra tra l'una e l'altra scotta,la divina figura onde fu bellacontra il flutto la prua sotto il balenodella nube che vinto avea la Stella,ardere voglio avverso il Mar Tirreno,l'ornamento superbo e il rude ordegno,le Pleiadi invocando al ciel sereno.Crepiterà nel fuoco il salso legno,su la cervice del leon proteso;e taluno vedrà di lungi il segno5

insolito e dirà: «Qual mano accesoha il rogo audace? Quale iddio su l'erterupi nel cuore della fiamma è atteso?».Non un iddio ma il figlio di Laertequal dallo scoglio il peregrin d'Infernocon le pupille di martìri espertevide tristo crollarsi per l'internodella fiamma cornuta che si feovoce d'eroe santissima in eterno.«Né dolcezza di figlio.» O Galileo,men vali tu che nel dantesco fuocoil piloto re d'Itaca Odisseo.Troppo il tuo verbo al paragone è fiocoe debile il tuo gesto. Eccita i fortiquei che forò la gola al molle proco.L'àncora che s'affonda ne' tuoi portinon giova a noi. Disdegna la salutechi mette sé nel turbo delle sorti.Ei naviga alle terre sconosciute,spirito insonne. Morde, àncora sola,i gorghi del suo cor la sua virtute.Di latin sangue sorse la parola6

degna del Re pelasgo; e il sacro Dantele diede più grand'ala, onde più vola.Re del Mediterraneo, parlantenel maggior corno della fiamma antica,parlami in questo rogo fiammeggiante!Questo vigile fuoco ti nutricail mio vóto, e il timone e la polènadel vascel cui Fortuna fa nimica,o tu che col tuo cor la tua carenacontra i perigli spignere fosti usodietro l'anima tua fatta Sirena,infin che il Mar fu sopra te richiuso!L'annunzioUdite, udite, o figli della terra, udite il grandeannunzio ch'io vi reco sopra il vento palpitantecon la mia bocca forte!Udite, o agricoltori, alzati nei diritti solchi,e voi che contro la possa dei giovenchi, o bifolchi,tendete le corde ritortecome quelle del suono tese nelle antiche lire,e voi, femmine possenti in oprare e partorite,alzate su le porte,e voi nella luce floridi, e voi nell'ombra curvi,7

fanciulli loquaci, vecchi taciturni,o vita, o morte,uditemi! Udite l'annunziatore di lontanoche reca l'annunzio del prodigio meridianoonde fu pieno tutto quantoil cielo nell'ora ardente! V'empirò di meraviglia;v'infiammerò di gioia; vi trarrò dalle cigliail riso e il pianto.Salirà dai profondi cuori un grido immensocome quel che improvviso tonò nel silenziodel giorno santo.Ornate di purpuree bende il giogo oneroso,delle più fresche erbe gli alari che il fuoco ha rósonel fervido camino;sospendete alla trave arida la ghirlanda aulente,coronate la fronte del toro, il vaso lucente,la pietra del confino.La bellezza del mondo sopita si ridesta.Il mio canto vi chiama a una divina festa.Nelle vostre rene rudi, ecco, il mio canto versaun sangue divino.Udite, udite, o figli del Mare, udite il grandeannunzio ch'io vi reco sopra il vento giubilantecon la mia bocca sonora,nudi nell'ombra cerula delle vele mentre vibracome nella selva il curvo legno per ogni fibrada poppa a prora8

e il pino dischiomato che per l'alto sal viaggiapur anco geme in lunghe lacrime la selvaggiagomma onde il cuor gli odora,uditemi! Io vi dirò quel che da voi s'attende,le vostre sorti auguste, la deità che in voi splendee il Mar che è divino ancóra.Gittate le reti su i giardini del Mareove rose voraci s'aprono tra il fluttuaredell'erbe confuse;cogliete il ramo vivo nella selva dei coralliove fremono eretti gli ippocampi, cavalliesigui, e le medusetrapassano in torme leni come in aere nube;cogliete i fiori equorei, molli come le piume,dolci come le ciglia chiuse;fioritene ogni albero, fioritene ogni antenna,il timoniere alla barra, il gabbiere alla penna,e il piloto che sa i cieli,e i bracci dell'àncora tenace che sa gli abissi,e le escubie, occhi della nave aperti e fissiverso i lontani veliove s'asconde l'isola felice o la tempesta!Il mio canto vi chiama a una divina festa.La bellezza del mondo sopita si ridestacome ai dì sereni.Mentì, mentì la voce dinanzi alle dentateEchìnadi tonante nella calma d'estate9

verso la nave. Il giornospegneasi entro quell'acque, fumido; come una piraardea Paxo; Achelòo, pensoso di Deianirae del divelto cornodalla forza d'Eràcle nell'iterata lotta,respirava per la sua vasta bocca nel mare e solala sua brama era intorno.O padre fecondatore dei piani, re violento, atrocesposo, testimonio eterno sei tu. Mentì la voceche gridò: «Pan è morto!».Ma pieno era il giorno, ma era a sommo del cerchioil Sole, il maestro dell'opre eccellenti, lo specchioinfaticabile degli umani,l'amico delle fonti, la chiara faccia, il puroocchio che vede tutte le cose (udite, udite!); e tuttoil silenzio dei pianil'adorava offerendo al suo fuoco le messialtrici delle stirpi, i mietitori genuflessidalle consacrate mani,e le falci terribili, e i vasi d'argilla pronionde l'acqua trasuda, simili alle frontimadide nella fatica,tramandati dai padri nella forma immortale,e i rossi carri aspettanti il peso cerealefermi presso la bica,e le chiome delle femmine seguaci, e le crinieredei cavalli furibondi sotto la sferza crudelee la schiuma di quel furore, e le preghiere10

grandi su l'opra antica.Pieno era il giorno, o figli, era il Sole imminente;e tutto il silenzio dei mari l'adorava offerendoal suo fuoco l'aromadel sale purificante, la felicità dell'onda,della rupe immobile, dell'alga vagabonda,della ferrea prora,il promontorio fulvo come leone in agguatocon proteso l'artiglio, il golfo dominatodalla città che doloranelle sue mura ansiosa, e i vitrei meandridelle correnti, e i gemmei limitari degli antriche solo il vento esplora.Tutto era silenzio, luce, forza, desìo.L'attesa del prodigio gonfiava questo miocuore come il cuor del mondo.Era questa carne mortale impazientedi risplendere, come se d'un sangue fulgentel'astro ne rigasse il pondo.La sostanza del Sole era la mia sostanza.Erano in me i cieli infiniti, l'abondanzadei piani, il Mar profondo.E dal culmine dei cieli alle radici del Marebalenò, risonò la parola solare:«Il gran Pan non è morto!».Tremarono le mie vene, i miei capelli, e le selve,le messi, le acque, le rupi, i fuochi, i fiori, le belve.11

«Il gran Pan non è morto!»Tutte le creature tremarono come una solafoglia, come una sola goccia, come una solafavilla, sotto il lampo e il tuono della parola.«Il gran Pan non è morto!»E il terrore sacro si propagò ai confinidell'Universo. Ma gli uomini non tremarono, chinisotto le consuete onte.Tutte le creature udirono la vocevivente; ma non gli uomini cui l'ombra d'una croceumiliò la fronte.Ed io, che l'udii solo, stetti con le tremanticreature muto. E il dio mi disse: «O tu che canti,io son l'Eterna Fonte.Canta le mie laudi eterne». Parvemi ch'io morissie ch'io rinascessi. O Morte, o Vita, o Eternità! E dissi:«Canterò, Signore».Dissi: «Canterò i tuoi mille nomi e le tue membrainnumerevoli, perocché la fiamma e la semenza,l'alveare ed il gregge,l'oceano e la luna, la montagna ed il pomoson le tue membra, Signore; e l'opera dell'uomoè retta dalla tua legge.Canterò l'uomo che ara, che naviga, che combatte,che trae dalla rupe il ferro, dalla mammella il latte,il suono dalle avene.Canterò la grandezza dei mari e degli eroi,12

la guerra delle stirpi, la pazienza dei buoi,l'antichità del giogo,l'atto magnifico di colui che intride la farinae di colui che versa nel vaso l'olio d'olivae di colui che accende il fuoco;perocché i cuori umani, come per un lungo esiglio,hanno obliato queste tue glorie, Signore, e che il gigliodei campi è un gaudio eterno». E il dio mi disse:«O figlio,canta anche il tuo alloro».13

LIBRO PRIMOMAIALaus vitaeI.O Vita, o Vita,dono terribile del dio,come una spada fedele,come una ruggente face,come la gorgóna,come la centàurea veste;o Vita, o Vita,dono d'oblìo,offerta agreste,come un'acqua chiara,come una corona,come un fiale, come il mieleche la bocca separadalla cera tenace;o Vita, o Vita,dono dell'Immortalealla mia sete crudele,alla mia fame vorace,alla mia sete e alla mia fame14

d'un giorno, non dirò iotutta la tua bellezza?Chi t'amò su la terracon questo furore?Chi ti attese in ogniattimo con ansie mai paghe?Chi riconobbe le tue oresorelle de' suoi sogni?Chi più larghe piaghes'ebbe nella tua guerra?E chi ferì con daghedi più sottili tempre?Chi di te gioì semprecome s'ei fosseper dipartirsi?Ah, tutti i suoi tirsiil mio desiderio scosseverso di te, o Vitadai mille e mille vólti,a ogni tua apparita,come un Tìaso di rosseTìadi in boschi folti,tutti i suoi tirsi!Nessuna cosami fu aliena;nessuna mi saràmai, mentre comprendo, mondoLaudata sii, Diversitàdelle creature, sirena15

del mondo! Talor non elessiperché parvemi che eleggendoio t'escludessi,o Diversità, meravigliasempiterna, e che la rosabianca e la vermigliafosser dovute entrambealla mia brama,e tutte le pastureco' lor sapori,tutte le cose pure e impureai miei amori;però ch'io son colui che t'ama,o Diversità, sirenadel mondo, io son colui che t'ama.Vigile a ogni soffio,intenta a ogni baleno,sempre in ascolto,sempre in attesa,pronta a ghermire,pronta a donare,pregna di velenoo di balsamo, tòrtanelle sue spirepossenti o tesacome un arco, dietro la portaangusta o sul limitaredell'immensa foresta,ovunque, giorno e notte,16

al sereno e alla tempesta,in ogni luogo, in ogni evento,la mia anima vissecome diecimila!È curva la Mira che fila,poi che d'oro e di ferro pesalo stame come quel d'Ulisse.Tutto fu ambìtoe tutto fu tentato.Ah perché non è infinitocome il desiderio, il potereumano? Ogni gestoarmonioso e rudemi fu d'esempio;ogni arte mi piacque,mi sedusse ogni dottrina,m'attrasse ogni lavoro.Invidiai l'uomoche erige un tempioe l'uomo che aggioga un toro,e colui che trae dall'anticaforza dell'acquele forze novelle,e colui che distinguei corsi delle stelle,e colui che nei mutisegni ode sonar le linguedei regni perduti.17

Tutto fu ambìtoe tutto fu tentato.Quel che non fu fattoio lo sognai;e tanto era l'ardoreche il sogno eguagliò l'atto.Laudato sii, poteredel sogno ond'io m'incoronoimperialmentesopra le mie sortie ascendo il tronodella mia speranza,io che nacqui in una stanzadi porpora e per nutriceebbi una grande e taciturnadonna discesa da una ruperoggia! Laudato sii intanto,o tu che apri il mio pettotroppo angusto pel respirodella mia anima! E avraida me un altro canto.II.Io nacqui ogni mattina.Ogni mio risvegliofu come un'improvvisanascita nella luce:attoniti i miei occhi18

miravano la lucee il mondo. Chiedea l'ignaro:«Perché ti meravigli?».Attonito io rimiravala luce e il mondo. Quantifurono i miei giacigli!Giacqui su la bica flavaudendo sotto il mio pesostridere l'aride ariste.Giacqui su i fragrantifieni, su le sabbie calde,su i carri, su i navigli,nelle logge di marmo,sotto le pergole, sottole tende, sotto le querci.Dove giacqui, rinacqui.Mi persuase i sonniil canto della trebbia,il canto dei marinai,il canto delle sartie al vento,l'odore della pece,l'odore degli otri,l'odore dei rosai,il gemitìo del sierogiù dai vimini sospesinella cascina, la vecedelle spole nei telainotturna, il ruggir cupodei forni accesi,19

il favellar leggerodell'acque pei botri,il battere della maciullanell'aia. E parvemi talorasu quei familiarisuoni farsi un alto silenzioe riudire il lontanocanto della mia culla.Mi destò il Soleraggiandomi la faccia.Vidi per le tramedelle mie palpebre il fulgoredel mio sangue. Il mozzopendulo dal cordamegittò a me supinoil suo grido, il suo gridoannunziatore;e rise il lieve lidocome un labbro su la bonaccia.Le secchie all'alba nel pozzotraboccanti d'acqua ghiacciacon lor croscio argentinosuscitaron nel mio vigorenudo il brivido salubredel lavacro mattutino.Le allodole gloriosein alto in alto in altodalla rocca dell'Azzurromi chiamarono al grande assalto.20

I poledri violentisu la prateria molle,irsuti il pel selvaggio,coperti di rugiadecome i bruchi villosiin fondo alle corolle,m'annitrirono su i vèntiche parean recarmi il sentoredegli ippòmani favolosiforte come un beveraggio.Cantò: «Ben venga maggio!»dal colle di ginestrechiaro la teoriacoronata di canestrevotive, e per le contradee per l'anima miatrionfò Prosèrpina in vestetosca obliando Ade.Quante voci, quanti richiami,quanti inviti nell'aurorebelle! Ma ebbi altri risvegli.Ebbi un letto vasto,sacro all'amor ciecoe al perspicaceodio; vasto sì che giacersipotessero con mecoe con la mia donnala forza e la grazia,21

la crudeltà e la froda,la voluttà e la morte.Tra l'una e l'altra colonnapendeva una cortinagrave che copria d'ombrail rito infecondoe la carne sazia,quando la concubinaseduta su la prodami guatava in silenziocon i suoi occhi instruttinella cui notte ingombraio vedea passar gli antichimostri e gli eterni lutti.Io t'abbandonai,O mia carne, t'abbandonaicome un re imberbe abbandonail suo reame alla guerrierache s'avanza in armitremenda e bella,ond'ei teme e spera.Ella s'avanzavittoriosa,tra moltitudini in festache di tutti i lor benifan conviti al suo passare.Attonito trasaleil re dolce, e la sua speranza22

ride al suo timore;ché non sapea di tantagioia e di tanta famericchi i suoi schiavi,non sé tanto possentené di tanto feroci spinipieno il suo dolce cuore.Io ti saziai,o mia carne, ti saziaicome l'alluvionesazia la terrache più non la riceveed è sommersa.Fiumi perigliosiprecipitarono ruggendosopra di te perduta.Fosti taloracome uva premutada fiammei piedi;talora come nevesegnata di vestigiacruente, d'impronte oscure;talora come inertegleba; e parvemi ch'io sentissiin te serpere ignoteradici e udissi lungestridere su la coteforse una scure.23

Furonvi donne serenecon chiari occhi, infinitenel lor silenziocome le contradepiane ove scorre un fiume;furonvi donne per lumed'oro emule dell'estatee dell'incendio,simili a biadelussuriantiche non toccò la falcema che divora il fuocodegli astri sotto un cielo immite;furonvi donne sì lieviche una parolale fece schiavecome una coppa riversatiene prigione un'ape;furonvi altre con mani smorteche spensero ogni pensier fortesenza romore;altre con mani esiguee pieghevoli, il cui giocolento parea s'insinuassea dividere le venequasi fili di matassetinte in oltremarino;altre, pallide e lasse,devastate dai baci,24

riarse d'amore sinoalle midolle,perdute il cocenteviso entro le chiome,con le nari comeinquiete alette,con le labbra comeparole dette,con le palpebre comele violette.E vi furono altre ancóra;e meravigliosamenteio le conobbi.Conobbi il corpo ignudoalla voce, al riso,al passo, al profumo. Il suonod'un passo sconosciutomi fece ansiosoquasi melodìa che s'odagiungere nella remotastanza per chiuse portea quando a quando, e il cuore anela.Risa belle, io già dissi il vostronumero, io vi lodai diversecome le sorgentidella terra, come le pioggenelle stagioni!Io dissi la vostra essenzainvisibile, profumi,25

le vostre mute effusioniche pur vincono i torrentinella rapina! Ma la voceavrà da me un cantopiù glorioso.Furonvi città soavisu colli ermi, conclusenel lor silenziocome chi adora;furonvi palagisnelli su logge apertead accoglier l'ariacome chi respira,sacri alle Muse;furonvi orti irrigui,paradisi recinticome labirinticon una porta solae mille ambagi,ove l'aura piegaogni stelo e s'involacome chi fa ghirlandee non le lega;vi furono bevande,frutti, musiche pe' nostri agi;e le melancolie.III.26

O notte d'estate fra l'altrememoranda per la bellezzaindicibile onde rifulsenell'ombra la mia personamortale, quasi fosse in leiespressa l'effigie divinadel Desiderio, sotto i mutibaleni che facean del cieloestremo una fucina ardente!Nessuno comprenderà maiperché nel semplice atto umanoio mi sentissi così belloper tutto l'esser mio: l'egualedei Giovini trasfiguratinei miti eterni della grandeEllade. Per un'ora fuil'eguale dei trasfiguratiGiovini alle soglie dei boschie sul margine delle fonti:nell'ombra calda e sotto i mutilampi bello indicibilmente.La luna era trascorsa;dietro le opache cimevanito era il suo breve incanto.L'orrore medusèoparve impietrarela faccia sublimedella notte. Non canto,27

non grido s'udiva. Raregemevan l'aure. Booteguardava l'Orsa;e lacrimava il corodelle Pleiadi belleai ginocchi del Toro;ed Orione in corsaveniva armato d'orosu le tristi sorelle;ed Erigone pura,in disparte e con elle,versava anche il suo pianto.Così viveva la gran notte,qual la mirò dai monti Orfeo.Viveva d'una vitaaltissima taciturnae sacra, come quandol'apollinea proleinvocò: «M'odi, o iddia,desiderabile, di negropeplo vestita, cintadi astri, inspiratrice degli inni,madre dei sogni, uraniae terrestre, generatricedi tutte le cose,ricchissima, oblìo delle cure,persuasiva, m'odi!».Eran nel mio petto gli inni.Ma intenti i miei occhi28

erano all'orizzonteultimo che fervea comese vi sfavillasse ignìtoe vivido su la vulcaniaincude un cuor di titanocon un palpito immenso.«O cuore titanico» dissi«formidabile, palpitanteal confine del cielo,te anche arde e torceil desiderio onde anelocome s'io morissi?Per quale amante?Per quale dominio?Per quale morte?Che vuoi? che vuoi?Ovunque il tuo affannoapre solchi d'arsurache all'alba le rugiadenon addolciranno.Ah che anch'io questa nottesaprei morir come gli eroi,uccidere un re nel suo lettoo tra le spade,sciogliere una cintura fortecome quella che alla Terracingono gli antichi mari!»Immobile su la soglia29

io guatava con occhi arsi,sentendo in me parole alzarsiconfuse, come chi delira.Dietro di me la casa umana,spenta e di cure ingombra,ove dormivano i servi,gemeva a quando a quando vanacome una lira senza nervi.E parve a un tratto, lontanacon la sua dogliasenza ritorno, lasciarminella solitudine solo.Il mio palpito stessoe la rapidità dei lampisi confusero allora;furono una forza concordeche lottò con la più alta ombra,toccò Galassia e i campi,agitò il sonno dell'Aurora,svegliò tutte le corde.E io dissi:

Udite, udite, o figli della terra, udite il grande annunzio ch'io vi reco sopra il vento palpitante con la mia bocca forte! Udite, o agricoltori, alzati nei diritti solchi, e voi che contro la possa dei giovenchi, o bifolchi, tendete le corde ritorte come quelle del suono tese nelle antiche lire, e voi, femmine possenti in oprare e partorite,

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