Claretta Ferrarini Vernacolista Di Fidenza Dal 2015 .

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Claretta Ferrarini vernacolista di Fidenza dal 2015 rappresenta ildialetto parmigiano in RegioneLa fidentina Claretta Ferrarini è stata nominata membro del Comitato scientifico per lasalvaguardia, la valorizzazione e la trasmissione dei dialetti dell’Emilia-Romagna.Ferrarini è nota nel parmense per essere tra i protagonisti della cultura dialettale.Claretta Ferrarini è scrittrice vernacolista, da sempre cultrice del dialetto ma anche ingenerale di usi, costumi, folklore e cucina tradizionale di Fidenza. Ha scritto cinquelibri in dialetto, compresa la traduzione delle Sacre Scritture, allo scopo di daredignità letteraria al dialetto parmigiano. Madre di quattro figli e nonna di tre nipoti,da quasi 20 anni fa attività doi divulgazione gratuitamente attraverso le radio locali,lezioni a scuola, conferenze e recital.Il Comitato – al quale Ferrarini è stata candidata dal Comune di Fidenza – è unorganismo previsto dalla legge regionale numero 16 del 2014, composto da 11 membridi comprovata competenza, rappresentanti tutto il territorio e scelti dalla Giuntaemiliano-romagnola tra le candidature arrivate attraverso un avviso pubblico.(da Parma Quotidiano.info)IL PENSIERO DI CLARETTA FERRARININel libro “LA BON’NA NÖVA”, traduzione nel dialetto borghigiano dei quattroVangeli, Claretta Ferrarini ha dato ragione del suo impegno nella traduzione deitesti sacriScopoCon la traduzione in vernacolo borghigiano dei quattro Vangeli e degli Atti degliApostoli intendo:-Ridare al nostro agonizzante dialetto la dignità che gli spetta, quale lingua vera epropria;-Ribadire, ancora una volta, che il “vernacolo” non è un giullare col quale far ridere olanciare colorate bestemmie, poiché in dialetto si può anche pregare. Forte etremenda era l'invocazione di mia nonna: «Sgnur! Jutm a l'ingrossa, parché a lam'nuda at fè pò in tèmp»;-Dare ai miei concittadini il “LORO VANGELO” quale prezioso dono alla miaamatissima città;-Trasmettere la forte sensazione che ho provato quando una notte, non riuscendo adormire, ho preso a leggere “Luca” e le parole mi venivano in dialetto. Mi sono detta:«Sì, “Cristo si è fermato” anche “a Borgo”». Mi sono alzata, ho afferrato un pezzo dimatita e, sul retro di un foglio sul quale i miei nipotini mi avevano dedicato un lorodisegno ho scritto: «Cara èl me Teofilo.».Non c’è più stato verso di fermarmi. Claretto Ferrarmi

RIFLESSIONE DELLA FERRARINI SUL DIALETTOIl dialetto non è il giullare delle lingue, né la lingua dei giullari. Non serve solo per farridere, raccontando barzellette o recitando farse e commedie; esso è una lingua dotta, conla quale si può pregare, piangere, scrivere romanzi, trattati e quant’altro.Indagare, studiare, valorizzare, parlare e scrivere il proprio dial. non deve essere unaforma di nostalgia e di rimpianto del passato, ma dev’essere “cura della parola e dellascienza del linguaggio”. Diventiamo insopportabili e un pò stupidotti, quando vogliamoconvincere noi e gli altri che “una volta” era tutto più bello, più buono, che c’era più amoree che si andava d’accordo etc. È una forma di esagerato e, spesso, ipocrita cordoglio chenon condivido. Non deve essere così per il proprio dial.: esso non appartiene ad unnostalgico “passato”, nel quale ha solo le radici, ma è un presente vivo e palpitante.Il dialetto non è una lingua morta, è molto più languente l’Italiano, soffocato daineologismi, dalle storpiature e dall’anglosassone imperante. È languente all’ultimo soffioil latino (che non è ancora morto stecchito), ma non il dialetto. Questo è solo malato e cisono pochi medici e poche medicine per curalo, ma ha dentro di sè, una forza tanto potenteda permettergli di tenersi in vita da solo. Se non lo si bastona continuamente, però.Chi teme che il rinvigorirsi dei dialetti, sia un pericolo per l’Unità Nazionale è in errore.Il dialetto è una forma di identificazione e di appartenenza, come può esserlo il propriocognome, o il cognome della madre, cioè le due famiglie dalle quali ognuno proviene.L’uomo ha bisogno di “appartenere”.Per chi insiste in un’arcaica e scolorita dialettofobia ritenendo il vernacolo la linguadegli ignoranti, dichiaro: io, ancor piccola, sentivo il già vecchissimo dr. Tridenti del 1880

circa, parlare un bellissimo dialetto e così sentivo parlare tutti i cosidetti “ricchi” eacculturati di Borgo quando interloquivano in Piazza o davanti le caffetterie più eleganti.Altresì, non ritengo giusto lasciarsi trasportare da correnti dialettomaniacaliperchè tütt itròpp i stan par nöžar e modus in rebus. Dobbiamo dare il giusto senso ad ogni cosa: lalingua italiana ha unito e deve continuare a farlo, una nazione che era sparpagliata;la lingua vernacola deve tenere unita una città prima che si sparpagli. Via dalla menteanche l’idea che il dial. sia proletario e l’italiano capitalista o che sia di sinistra incontrapposizione al fascismo che aveva dichiarato guerra ai dialetti.Grandi menti come Benedetto Croce, Antonio Gramsci, Giacomo Devoto, FrancescoDe Sanctis, Di Mauro, P. Paolo Pasolini, hanno lottato a favore dei dialetti, ritenendo laloro soppressione una “barbarie” che avrebbe procurato sterilità alla culturalinguistica. Satriano Lombardi, ritiene che, l’Italiano, non sia un riscatto culturale, ma unsuicidio della cultura tradizionale espressa dai dialetti. Il Di Mauroafferma che“l’aggressività antidialettale della Scuola, non ha né basi storico-linguistiche, né ragionisociologiche positive, né giustificazioni psicopedagogiche”.Viene da sorridere se ci si rende conto che molte parole che riteniamo italiane diultima/penultima/terzultima generazione, sono invece prese da diversi dialetti e non ce neaccorgiamo. Per es.: ciào (Ven.,) grissino (Piem.), cotechino (Lomb. Ven. Emil.), pizza,mozzarella (Campania),zafferano (arabo),abbacchio (Lazio,Toscana),camorra (Campania), mafia (Sic.), persona, mondo, satellite (etrusco), bùfalo (oscoumbro), parabola, martire (Bibbia Vulgata) etc.

Per parlare e scrivere bene in dialetto, si deve pensare in dialetto, perchè esso è unaforma mentis che bisogna assolutamente possedere. Per volgere l’Italiano in dialetto,non si deve tradurre letteralmente la frase! Bisogna stravolgerla! Le si deve dare la suagramm., la sua sintassi, e la sua giusta costruzione. Ecco perchè diventa rischioso (comeho già detto) tradurre opere ital. in rima: o tradisci il testo originale o tradisci il dialetto.Nel Concilio di Tours, voluto da Carlo Magno nell’813 d.c., si stabilì che i vescovidovessero tenere l’Omelìa nella lingua “rustica”, al fine di farsi capire dai fedeli la cuidisobbedienza alle leggi della Chiesa, poteva essere causata dall’incomprensione dellatino. L’Atto Ufficiale di quel Concilio dà il via alla nascita delle Lingue Romanze,mentre nel Giuramento di Strasburgo (842) viene sancita la 1ª lingua romanza: il francese.Di recente ho esaminato un vocab. (non etim.) di dialetti emiliani, redatto da un’unicapersona, la quale mette in bocca ai Parmigiani di Parma, parole piacentine, così ribadiscola mia teoria: ogni vernacolista deve occuparsi del dial. del proprio campanile, quello cheDante chiamava “municipalismo”, diversamente si crea confusione e si diffondono notizieinesatte.Molti dial., cosidetti moderni, definiti dopo il 1500, posseggono una vasta letteratura etanti documenti, redatti nei secoli scorsi, sono firmati: Conte Tal dei Tali; EccellenzaSignor Vescovo Tal dei Tali; Dottor o Professor Tal dei Tali; Canonico Tale; AvvocatoTalaltro; Arcipreti; Marchesi, dunque persone colte. Quindi, ripeto, non è vero che ildialetto era una lingua solo parlata, come non è vero che fosse la “lingua degli ignoranti”.In proposito, posso garantire che, trattati agrari, economici, bandi, anche statuti, nonvenivano scritti nella lingua dei conquistatori, ma nel diverso lat. di ogni epoca, misto aldial. del luogo.

Dopo la caduta dell’Impero Romano 476 d.C. con la deposizione di Romolo Augustoloda parte di Odoacre, gli idiomi locali, ripresero vigore (ma il fenomeno era cominciatoanche prima) e divennero addirittura segno di grande prestigio nelle corti, tanto da essereparlati da tutti. Li chiamavano Il Volgare che ha dato una significativa impronta ai dialetti“moderni”.

Il dialetto non è il giullare . delle lingue, né la lingua dei giullari. Non serve solo per far ridere, raccontando barzellette o recitando farse e commedie; esso è una lingua dotta, con la quale si può pregare, piangere, scrivere romanzi, trattati e quant’altro. Indagare, studiare, valorizzare, parlare e scrivere il proprio dial.

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