Parte A Relazione Tecnica Generale

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Parte ARelazione tecnica generaleDirezione tecnico-scientifica:Prof. Ing. Michele GRECOProf. Geol. Umberto SIMEONIData:Struttura di MateraSupporto all’attuazione dell’Accordo di Programma ex art. 17 Legge 36/94

Indice Parte ARelazione tecnica generale1Premessa . 32Quadro normativo di riferimento in materia di difesa della costa . 43Inquadramento geografico della Basilicata . 134L’evoluzione, l’erosione, le dune, lo sviluppo e la gestione della costa . 165Inquadramento socio-economico delle aree costiere lucane . 186Metodologie di difesa costiera. 262

1PremessaIl presente Piano Regionale per la Gestione delle Coste della Regione Basilicata(PRGC - art. 4 L.r. 39/2009) costituisce lo strumento normativo, tecnico-operativo eprogrammatico mediante il quale sono individuati anche in termini prioritari gliinterventi diretti alla tutela e valorizzazione delle aree costiere, finalizzato a: individuare i principali usi in atto e la dimensione delle attività economiche cheinsistono sulle aree costiere; verificare le condizioni attuali del litorale, in relazione alla dinamica delle areecostiere con particolare riferimento ai fenomeni di erosione e di arretramentodella linea di costa; definire, congruentemente con il quadro normativo nazionale e regionale inmateria di compatibilità ambientale, il sistema delle criticità territoriali edambientali e un programma di interventi a medio e lungo termine per la difesacomplessiva della costa; definire le modalità di monitoraggio delle dinamiche litoranee con particolareriferimento al completamento dell’attuale quadro conoscitivo ambientale eterritoriale ed in relazione alle modifiche conseguenti l’uso della costa e larealizzazione di interventi di difesa del litorale dall'erosione marina e diripascimento del litorale.In particolare, le azioni e gli interventi contenute nel PRGC devono essereprioritariamente indirizzate:1. alla salvaguardia delle risorse naturali, degli insediamenti civili, produttivi edelle infrastrutture;2. alla difesa del litorale dall'erosione marina e al ripascimento degli arenili;3. all'armonizzazione dell'utilizzazione pubblica del demanio marittimo con losviluppo turistico e ricreativo della zona costiera, tenendo conto anche di quantostabilito dagli strumenti di pianificazione vigenti;4. alla riqualificazione ambientale dei tratti di costa emersa e sommersa.In tale quadro, il presente documento di piano si articola in quattro parti principalidenominate:a. Parte A - Relazione tecnica generale, che fornisce il quadro normativo diriferimento, ai vari livelli, europeo, nazionale e regionale, la contestualizzazionesocio economica delle aree costiere lucane, ionica e tirrenica, e una sintesi delcontesto ambientale e territoriale costiero regionale, più estensivamente trattatanell’Allegato A.1 (Quadro di riferimento ambientale del sistema costierolucano);b. Parte B - Vulnerabilità e criticità delle aree costiere regionali, nella quale èriportata la caratterizzazione della fascia costiera jonica e tirrenica, la suasuddivisione in ambiti territoriali sufficientemente omogenei (macro-aree),nonché la valutazione del livello di vulnerabilità all’erosione, inondazione edevoluzione, pervenendo alla zonizzazione delle pericolosità e delle criticità dellearee costiere e del litorale sia ionico sia tirrenico. Il quadro delle criticità, quindi,viene discusso individuando possibili interventi di mitigazione e riduzione deidisequilibri territoriali ed ambientali diretti ed indotti.3

c. Parte C - Monitoraggio, Sistema Informativo Territoriale della Costa e Indirizziper la Pianificazione e Gestione della Costa, che definisce il quadro delmonitoraggio costiero ed il sistema di infrastrutture per l’archiviazione, ilprocessamento e la condivisione dei dati acquisiti ed acquisibili, nonché lagestione delle informazioni e le modalità di accesso. Il documento, inoltre,descrive l’architettura del Sistema Informativo Territoriale della Costa e riporta iprincipi fondamentali e gli indirizzi per l’avvio della Gestione Integrata delleZone Costiere.d. Parte D – Norme di Attuazione del Piano, relative all’applicazione del piano, allazonizzazione delle aree costiere ed agli indirizzi per la progettazione el’esecuzione delle opere di difesa della costa e degli abitati costieri ed iripascimenti.A completamento del quadro descrittivo di analisi e valutazione, il documento di pianocontiene gli elaborati grafici relativi all’inquadramento territoriale di area vasta e dellemacro-aree, alla zonizzazione degli ambiti costieri e all’individuazione di possibiliinterventi di contrasto delle criticità per la riduzione degli effetti indotti da causeambientali ed antropiche dirette o indirette, ovvero di mitigazione dei rischi naturali edantropici.E’ parte integrante del PRGC della Basilicata il Rapporto Ambientale, completo diallegati.Il quadro conoscitivo e le informazioni riportate nel PRGC sono riferiti alle basi di datifruibili e certificati dagli enti presso i quali sono disponibili, così come nel testo sonoindicate le fonti e l’anno di riferimento.2Quadro normativo di riferimento in materia di difesa della costaAl fine di collocare in un ambito programmatico la gestione delle aree costiere, èquanto mai essenziale tracciare, sinteticamente, il percorso che ha progressivamenteportato le regioni a sostituire il monopolio statale nell’esercizio delle funzioniamministrative in materia di difesa della costa.Il primo intervento del legislatore in materia di costa è costituto dalla Legge 14luglio 1907 n. 542 concernente “Provvedimenti per l’esecuzione di nuove operemarittime”.All’art.14 si da una prima definizione delle opere di difesa delle spiagge e sistabilisce che alla loro esecuzione si provveda soltanto su domanda del Comuneinteressato ed a cura dello Stato “quando si tratti di difendere gli abitati dallecorrosioni prodotte dal mare”.In definitiva, la legislazione dell’inizio del secolo, tuttora in vigore, intende la“difesa delle coste” essenzialmente come “difesa degli abitati” dal mare: laprogettazione e la realizzazione delle opere marittime è demandata allo Stato che viprovvede privilegiando i profili della navigazione e della sicurezza degli approdi.Oltre ad assumere una parte dell’onere finanziario, ai Comuni è attribuita lamanutenzione obbligatoria delle opere di protezione, sotto la sorveglianza delcompetente Ufficio del Genio Civile.Nonostante i limiti evidenti di un approccio settoriale basato esclusivamentesulla difesa degli abitati, la legge del 1907 ha costituito la base normativa in materiafino alla recente riforma Bassanini, grazie al semplice intervento di aggiornamento del4

succitato art. 14 compiuto con Decreto Legge del 7 maggio 1980 (convertito nella legge299/80) che ha ribadito le competenze statali.Solo a partire dagli anni ’70, alla gestione statale viene affiancato l’interventoregionale, allorché, con la Legge 16 maggio 1970 n. 281 e, ancor più, con la Legge 22luglio 1975 n. 382, viene completato il trasferimento delle funzioni amministrativeesercitate dallo Stato alle costituende Regioni.In materia di costa, lo strumento della delega (Decreto del Presidente dellaRepubblica 24 luglio 1997 n. 616: Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22luglio 1975) opera in due direzioni:a. viene conferita alle Regioni la facoltà di provvedere alle opere destinate alla difesadella costa, anche se previa autorizzazione dello Stato (art. 69, 5 comma). Allo Statovengono conservate le funzioni amministrative concernenti “le opere di preminenteinteresse nazionale per la sicurezza dello Stato e della navigazione, nonché per ladifesa delle coste” (art. 88);b. sono “delegate alle Regioni le funzioni amministrative sul litorale marittimo, sullearee demaniali immediatamente prospicienti, sulle aree del demanio lacuale efluviale, quando l’utilizzazione prevista abbia finalità turistiche e ricreative. Sonoescluse dalla delega le funzioni esercitate dagli organi dello Stato in materia dinavigazione marittima, di sicurezza nazionale e di polizia doganale” (art. 59).Quest’ultimo approccio normativo che, considera la costa essenzialmente comerisorsa economica e turistica, ha trovato compimento con la Legge 4 dicembre 1993, n.494, di conversione del D.L. 5 ottobre 1993 n. 400 (“Disposizioni per la determinazionedei canoni relativi alle concessioni demaniali marittime”). All’art. 6 viene prevista ladelega alle Regioni delle funzioni amministrative nella materia concessoria (rilascio erinnovo), per l’esercizio della quale è prevista la “predisposizione di un Piano diutilizzazione delle aree del demanio marittimo”, acquisito il parere dei Sindaci deicomuni interessati e delle associazioni regionali di categoria.Sul punto, il Governo italiano, al fine di superare le censure sollevate dallaCommissione Europea in sede di procedura d’infrazione n. 2008/4908 per il mancatoadeguamento della normativa nazionale in materia di concessioni demaniali marittime aiprincipi stabiliti dalla "direttiva servizi", meglio conosciuta come direttiva Bolkenstein(Direttiva 123/2006/CE), ha approvato e pubblicato sul Supplemento Ordinario n. 39alla GU n. 48 del 27-2-10, la Legge n. 25 recante la conversione in legge, conmodificazioni, del D.L. n. 194/2009 (Proroga di termini previsti da disposizionilegislative).Per quanto riguarda la durata delle concessioni di beni demaniali marittimi confinalità turistico – ricreative, l’art. 1, comma 18, della citata Legge 26 febbraio 2010n.25, in prospettiva della revisione del relativo quadro normativo, ha stabilito che iltermine di validità delle concessioni in essere a tale data è prorogato al 31.12.2015.Pertanto, è stato espunto dall’art. 37 del Codice della Navigazione il c.d. “dirittod’insistenza”, con la precisazione che il secondo periodo del secondo comma dellapredetta norma è soppresso; sono fatte salve le disposizioni di cui all'art. 3 comma 4-bisDL n. 400/1993 e ss. modificazioni (Disposizioni per la determinazione dei canonirelativi a concessioni demaniali marittime) ai sensi del quale “le concessioni possonoavere durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti anni in ragionedell'entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei Piani diutilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle Regioni”.5

Ne discende che, entro e non oltre il periodo temporale di proroga previsto exlege sino al 31 dicembre 2015, i soggetti interessati potranno, con richieste motivate,reclamare una diversa durata delle concessioni superiore ad anni sei e comunque nonsuperiore a venti anni, in ragione dell’entità degli investimenti e delle opere darealizzare e sulla base del Piano di utilizzazione delle aree del demanio marittimopredisposto dalla Regione.Ritornando all’esame della legislazione nazionale, alla fine degli anni ’70, lostrumento della delega non aveva intaccato i limiti intrinseci della normativaprecedente, cui è ancora estranea la consapevolezza che l’intero sistema costierodovesse essere governato da una logica diversa dagli interventi urgenti o “a tampone”perpetuata dalla legge del 1907.La consapevolezza della necessità di una migliore gestione delle zone costiere siè tradotta, in questa fase, nella introduzione dello strumento della pianificazione acarattere nazionale.In base alla Legge 31 dicembre 1982 n. 979 concernente “Disposizioni per ladifesa del mare” “il piano delle coste indirizza, promuove e coordina gli interventi e leattività in materia di difesa del mare e delle coste dagli inquinamenti e di tuteladell’ambiente marino, secondo criteri di programmazione e con particolare rilievo allaprevisione degli eventi potenzialmente pericolosi e degli interventi necessari perdelimitarne gli effetti e per contrastarli una volta che si siano determinati”. Il piano, ascala nazionale, approvato definitivamente dal C.I.P.E., è predisposto “di intesa con leRegioni” (la predisposizione del Piano originariamente era di competenza del Ministerodella Marina Mercantile. La legge 8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del Ministerodell’Ambiente, successivamente stabilisce che siano adottati di concerto con il Ministrodell’Ambiente i provvedimenti di competenza ministeriale relativi al Piano Generale diDifesa del mare e delle coste marine di cui all’art. 1 della legge 31 dicembre 1982 n.979 (art. 2 comma 8).Nel frattempo, gli apporti più innovativi provengono dal dibattito internazionale.Il concetto di sviluppo sostenibile è stato portato alla notorietà internazionale dalrapporto Brundtland, come risultato dei lavori della Commissione indipendentesull'ambiente e lo sviluppo istituita dalle Nazioni Unite. Secondo questo Rapportopubblicato nel 1987 con il titolo "Our commun future", lo sviluppo sostenibile è definitocome l'unica strada che ha "l'umanità di rendere sostenibile lo sviluppo, cioè di far siche esso soddisfi i bisogni dell'attuale generazione senza compromettere la capacità diquelle future". Secondo il rapporto Brundtland, il concetto di sviluppo sostenibileimplica dei limiti non assoluti, ma così come imposti dal presente statodell'organizzazione tecnologica e sociale nell'uso delle risorse ambientali e dallacapacità della biosfera di assorbire gli effetti delle attività umane. Assicurare i bisogniessenziali significa realizzare una crescita economica per i paesi più poveri, secondomodalità che rispettino l'ambiente, ma anche, per quanto riguarda i paesi più ricchi,adottare stili di vita compatibili con le risorse energetiche del pianeta.La Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e sullo sviluppo di Rio deJaneiro, la cui Dichiarazione venne fatta propria dall’Assemblea Generale delle NazioniUnite con la risoluzione n. 47/190 del 22 dicembre 1992, accoglie i principi dellaDichiarazione di Stoccolma e allo stesso tempo li adegua alle nuove esigenze createsinell'ambito della protezione dell'ambiente, in virtù del fatto che l'assistenza allosviluppo non è più considerata come un'elargizione più o meno gratuita, ma come6

strumento necessario alla realizzazione d'interessi prioritari e superiori comuni a tutti ipaesi.Oltre all'impulso dato all'evoluzione del diritto internazionale in materia disviluppo sostenibile, il ruolo significativo giocato dalla Conferenza di Rio è statocertamente quello di sintetizzare la posizione dei Paesi in via di sviluppo, preoccupatidella loro crescita, e dei Paesi sviluppati, i quali cominciavano a percepire il significatofondamentale della tutela dell’ambiente per la tenuta complessiva della societàmoderna. L’art. 3 della Dichiarazione afferma che il diritto allo sviluppo va perseguito“in modo da tenere equamente in conto i bisogni dello sviluppo e quelli ambientali dellegenerazioni presenti e future”; a sua volta l’art. 4 precisa che “al fine di pervenire aduno sviluppo sostenibile la tutela dell’ambiente costituirà parte integrante del processodi sviluppo e non potrà essere considerata separatamente da questo”. Importante è ilriconoscimento espresso nell’art. 7 della Dichiarazione a mente della quale laresponsabilità per la conservazione, la protezione e il risanamento ambientale, in quantoresponsabilità commisurata al “contributo” dato all’inquinamento, spetta, o perlomenodovrebbe spettare in via principale, agli Stati sviluppati.Uno dei frutti della Conferenza di Rio è l'Agenda 21, programma internazionaledi azione per uno sviluppo globalmente sostenibile, lanciato in vista dell'ultimodecennio del XX secolo e calato nella prospettiva del XXI secolo. In esso s'insiste nellanecessità di armonizzare le varie politiche in materia economica, sociale ed ambientalee di responsabilizzare lo sviluppo economico in modo da renderlo compatibile con laprotezione delle risorse naturali nell'interesse delle generazione future. SecondoSOAVE "Un maggiore scambio di informazioni, una più ampia partecipazione edun'accresciuta consapevolezza del pubblico sull'importanza di considerare ambiente esviluppo in modo integrato, figurano fra le misure di attuazione richieste per unastrategia mirata a raggiungere lo sviluppo durevole e sostenibile” (P. Soave, Losviluppo sostenibile nella prospettiva dell'Agenda 21 - Il programma d'azione lanciatoalla Conferenza di Rio de Janeiro, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, 1993, p. 762).Nella formazione di comportamenti ecologicamente corretti e virtuosi in grado dimuovere “dal basso” una strategia globale di rinnovato e sostenibile rapporto trasviluppo e ambiente, sono teorizzati il principio "chi inquina, paga" e quello che estendel'obbligazione al "consumatore" di risorse naturali.L'importanza dello sviluppo sostenibile nel diritto ambientale internazionalestata rilevata dalla Corte Internazionale di Giustizia nel caso Gabcikovo-NagymarosProject (sentenza del 25.09.1997). La controversia, che ha dato origine ad una delle piùlunghe liti ambientali in Europa, tra Ungheria e Slovacchia, in merito ad un progetto dicostruzione di una serie di dighe sul Danubio, è stata l'occasione per la Corte di chiariree sviluppare aspetti sostanziali del diritto ambientale internazionale. In quell'occasionesi è discusso anche del concetto di sviluppo sostenibile. Le parti si sono trovated'accordo nel ritenere che sviluppo sostenibile fosse un principio applicabile e lasentenza ha così stabilito:"Nel corso dei tempi, l'umanità, per ragioni economiche e di altro genere, hacostantemente interferito con la natura. Nel passato avveniva spesso e senza che siconsiderassero le conseguenze sull'ambiente. Grazie alle nuove conoscenze scientifichee ad una maggiore consapevolezza dei rischi per l'umanità - per le generazioni presentie future - provocati dalla continuazione di questi interventi ad un ritmo sconsiderato edinarrestabile, sono state poste in essere nuove norme e nuovi standard, enunciati in un7

gran numero di strumenti nel corso degli ultimi venti anni. Bisogna tener conto diqueste normative e bisogna dare il giusto peso ai nuovi standard, non solo quando gliStati progettano nuove attività, ma anche quando continuano quelle iniziate nelpassato. Questa necessità, di conciliare lo sviluppo economico con la protezionedell'ambiente, è appunto espressa adeguatamente dal concetto di sviluppo sostenibile".Dalla nostra prospettiva, la gestione integrata delle aree marine e costiere èespressamente considerata una delle principali componenti del concetto di svilupposostenibile, come strumento in grado di accrescere il benessere delle comunità costiere emantenere l’integrità ecologica e la diversità biologica. In particolare, il Capitolo 17 diAgenda 21, relativo alla protezione degli oceani, di tutti i tipi di mare compresi i marichiusi e semichiusi e le zone costiere e la protezione, l’utilizzazione razionale e lavalorizzazione delle loro risorse viventi, indirizza gli Stati costieri verso nuovi approcciintegrati alla gestione delle aree costiere, a livello globale, regionale e nazionale,attraverso metodi e strumenti interdisciplinari, partecipativi, e responsabilizzanti.Dal punto di vista degli strumenti giuridici di diritto internazionale rivestenotevole rilevanza la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (MontegoBay 1982) nella quale, pur non rinvenendosi espliciti riferimenti alle problematicherelative alle coste, non mancano i riferimenti all’area costiera nel contesto dell’ambientemarino. Così, l’art. 194, par. 5, prevede che le misure prese per proteggere e preservarel’ambiente marino “includono quelle necessarie a proteggere e preservare ecosistemirari o dedicati, come pure l’habitat di specie in diminuzione, in pericolo o in via diestinzione e altre forme di vita marina”. La Convenzione di Montego Bay copre, inoltre,le aree costi

“difesa delle coste” essenzialmente come “difesa degli abitati” dal mare: la progettazione e la realizzazione delle opere marittime è demandata allo Stato che vi provvede privilegiando i profili della navigazione e della sicurezza degli approdi. Oltre ad assumere un

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