Frantz Fanon I DANNATI DELLA TERRA - WordPress

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Frantz FanonI DANNATI DELLA TERRANell'opera di Fanon, e in particolare in questo suo libro, si èrealizzata la presa di coscienza del significato universale dellarivoluzione dei popoli coloniali e dell'avvento del "terzo mondo"come protagonista della nuova storia. Anche se il libro getta le sueradici nella rivoluzione algerina, e si alimenta della suastraordinaria esperienza, esso trascende di gran lunga l'ambito diuna particolare nazione, per studiare l'intero processo su un pianointernazionale, che tende a dare alla storia un'universalità effettivae a fare dell'umanità intera il suo soggetto consapevole. Laprefazione è di Jean-Paul Sartre.http://cultura-non-a-pagamento.blogspot.it/

Einaudi, Torino 1962Titolo originale "Les damnés de la terre"1961 François Maspero /

Frantz FanonI DANNATI DELLA TERRAPrefazione di Jean-Paul SartreTraduzione di Carlo CignettiEinaudi editorehttp://cultura-non-a-pagamento.blogspot.it/

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PREFAZIONEOr non è molto, la terra contava due miliardi d'abitanti, ossiacinquecento milioni d'uomini e un miliardo e cinquecento milionid'indigeni. I primi disponevano del Verbo, gli altri se ne servivano.Tra quelli e questi, reucci venduti, feudatari, una falsa borghesiainventata di tutto punto fungevano da intermediari. Nelle colonie laverità si mostrava nuda; le «metropoli» la preferivano vestita;bisognava che l'indigeno le amasse. Come madri, in certo modo.L'élite europea prese a fabbricare un indigenato scelto; siselezionavano gli adolescenti, gli si stampavano in fronte, col ferroincandescente, i principi della cultura occidentale, gli si cacciavanoin bocca bavagli sonori, parole grosse glutinose che siappiccicavano ai denti; dopo un breve soggiorno in metropoli, li sirimandavano a casa, contraffatti. Quelle menzogne viventi nonavevano più niente da dire ai loro fratelli; risonavano; da Parigi, daLondra, da Amsterdam noi lanciavamo parole: «Partenone!Fratellanza!», e da qualche parte, in Africa, in Asia, labbra siaprivano: «. tenone! . lanza!» Erano i tempi d'oro .Finirono: le bocche s'aprirono da sole; le voci gialle e nereparlavano ancora del nostro umanesimo, ma era per rimproverarcila nostra inumanità. Ascoltavamo senza scontento quei cortesielaborati d'amarezza. Dapprima fu un bello stupore: ma come?Parlan da soli? Vedete, però, che cosa abbiamo fatto di loro! Nondubitavamo che accettassero il nostro ideale, poiché ci accusavanodi non essergli fedeli; questa volta, l'Europa credette alla suamissione: aveva ellenizzato gli asiatici, creato questa specie nuova,http://cultura-non-a-pagamento.blogspot.it/

i negri greco-latini. Fra noi, soggiungevamo molto praticamente:lasciamoli sbraitare, li consola; can che abbaia non morde .Venne un'altra generazione, che spostò la questione. I suoiscrittori, i suoi poeti, con incredibile pazienza cercarono dispiegarci che i valori nostri aderivano male alla verità della lorovita, che essi non potevano né affatto respingerli né assimilarli.All'incirca, questo voleva dire: voi fate di noi dei mostri, il vostroumanesimo ci pretende universali e le vostre pratiche razziste ciparticolarizzano. Li ascoltavamo, molto disinvolti: gliamministratori coloniali non son pagati per leggere Hegel, e infattilo leggono poco, ma non han bisogno di quel filosofo per sapereche le coscienze infelici s'impigliano nelle loro contraddizioni.Efficacia nessuna. Dunque, perpetuiamo la loro infelicità, non neverrà fuori che fumo. Se ci fosse, ci dicevan gli esperti, un'ombra dirivendicazione nei loro piagnistei, sarebbe quella dell'integrazione.Mica accordarla, beninteso: si sarebbe rovinato il sistema chepoggia, come sapete, sul supersfruttamento. Ma basterà - dicevano- tener loro davanti agli occhi quella carota: galopperanno. Quantoa ribellarsi, eravamo tranquillissimi: quale indigeno cosciente sisarebbe messo a massacrare i bei figli d'Europa al solo scopo didiventare europeo come loro? Insomma, incoraggiavamo quellemalinconie e non ci parve male, per una volta, di attribuire ilPremio Goncourt a un negro: era prima del '39 .1961. Sentite: «Non perdiamo tempo in sterili litanie o inmimetismi stomachevoli. Abbandoniamo quest'Europa che non lafinisce di parlare dell'uomo pur massacrandolo dovunque loincontra, in tutti gli angoli delle sue stesse strade, in tutti gli angolidel mondo. Sono secoli. che in nome d'una pretesa 'avventuraspirituale' essa soffoca la quasi totalità dell'umanità». Questo tono ènuovo. Chi osa pigliarlo? Un africano, uomo del Terzo Mondo, excolonizzato. Egli soggiunge: «L'Europa ha assunto una velocitàcosì pazza, disordinata. che va verso abissi da cui è meglioallontanarsi». In altre parole: è fottuta. Una verità che non è bellada dire, ma di cui - vero, cari coabitatori del continente? - siamtutti, tra pelle e pelle, convinti .http://cultura-non-a-pagamento.blogspot.it/

C'è da fare una riserva, però. Quando un francese, per esempio,dice ad altri francesi: «Siamo fottuti!» - il che, a conoscenza mia,accade pressoché tutti i giorni dal 1930 - è un discorso passionale,scottante di rabbia e d'amore, l'oratore ci si mette dentro con tutti isuoi compatrioti. E poi soggiunge generalmente: «A meno che.»E' chiaro di che cosa si tratta: non si devono più commettere altrisbagli; se le raccomandazioni sue non sono seguite alla lettera,allora e soltanto allora il paese si disintegrerà. Insomma, è unaminaccia seguita da un consiglio e quei discorsi urtano tanto menoin quanto scaturiscono dall'intersoggettività nazionale. QuandoFanon, invece, dice dell'Europa che corre alla sua rovina, lungi dallevare un grido d'allarme, egli propone una diagnosi. Questomedico non pretende di condannarla senza scampo - si son vistimiracoli - né di darle i mezzi per guarire: constata che agonizza.Dal di fuori, basandosi sui sintomi che ha potuto raccogliere.Quanto a curarla, no: ha altri pensieri pel capo; che crepi osopravviva, lui se ne infischia. Per questo motivo, il suo libro èscandaloso. E se voi sussurrate, giovialoni e imbarazzati: «Quantece ne dice!», la vera natura dello scandalo vi sfugge: giacché Fanonnon «ve ne dice» affatto; la sua opera - così scottante per altri rimane per voi gelida; si parla di voi spesso, a voi mai. Finiti iGoncourt neri e i Nobel gialli: non ritornerà più il tempo deipremiati colonizzati. Un ex indigeno «di lingua francese» piegaquella lingua a esigenze nuove, ne usa e si rivolge ai solicolonizzati: «Indigeni di tutti i paesi sottosviluppati, unitevi!» Chescadimento: per i padri, eravamo gli unici interlocutori; i figli nonci considerano nemmeno più come interlocutori validi. Siamo glioggetti del discorso. Certo Fanon ricorda di passata i nostri delittifamosi, Sétif, Hanoi, Madagascar, ma non perde fatica acondannarli: li adopera. Se smonta le tattiche del colonialismo, ilgioco complesso delle relazioni che uniscono e oppongono i coloniai «metropolitani», è "per i suoi fratelli"; lo scopo suo è di insegnarloro a sventare i nostri colpi .Insomma; il Terzo Mondo "si" scopre e si parla con questa voce.Si sa che esso non è omogeneo e che comprende ancora popolihttp://cultura-non-a-pagamento.blogspot.it/

asserviti, altri che hanno acquisito una falsa indipendenza, altri chesi battono per conquistare la sovranità, altri infine che hannoraggiunto la libertà plenaria ma vivono sotto la minaccia costantedi un'aggressione imperialista. Queste differenze sono nate dallastoria coloniale, quanto dire dall'oppressione. Qui la Metropoli si èaccontentata di pagare qualche feudatario: là, dividendo perimperare, ha fabbricato di tutto punto una borghesia di colonizzati;altrove ha fatto colpo doppio: la colonia è nello stesso tempo disfruttamento e di popolamento. Così l'Europa ha moltiplicato ledivisioni, le opposizioni, forgiato classi e talvolta razzismi, tentatocon tutti gli espedienti di provocare e di accrescere lastratificazione delle società colonizzate. Fanon non dissimula nulla:per lottare contro di noi l'ex colonia deve lottare contro se stessa. Opiuttosto i due fanno uno. Al fuoco della pugna, tutte le barriereinterne devono liquefarsi, l'impotente borghesia di affaristi e di"compradores", il proletariato urbano, sempre privilegiato, il"Lumpen-proletariat" dei bidonvilles, tutti devono allinearsi sulleposizioni delle masse rurali, vero serbatoio dell'esercito nazionale erivoluzionario; in queste contrade di cui il colonialismo hadeliberatamente arrestato lo sviluppo, il ceto contadino, quando sirivolta, appare prestissimo come la classe "radicale": esso conoscel'oppressione nuda, ne soffre molto più dei lavoratori delle città e,per impedirgli di morire di fame, non occorre niente di meno cheun'eversione di tutte le strutture. Trionfi, la Rivoluzione nazionalesarà socialista; arrestino il suo slancio, la borghesia colonizzataprenda il potere, il nuovo Stato, ad onta d'una sovranità formale,resta nelle mani degli imperialisti. E' quel che illustra assai benel'esempio del Katanga. Così l'unità del Terzo Mondo non è fatta: èun'impresa in corso che passa per l'unione, in ogni paese, dopol'indipendenza come prima, di tutti i colonizzati sotto il comandodella classe contadina. Ecco quel che Fanon spiega ai suoi fratellid'Africa, d'Asia, d'America latina: attueremo tutti assieme edappertutto il socialismo rivoluzionario o saremo battuti ad uno aduno dai nostri antichi tiranni. Non dissimula niente; né ledebolezze, né le discordie, né le mistificazioni. Qui il t/

parte male; là, dopo folgoranti successi, sta perdendo velocità;altrove si è fermato: se si vuol che riprenda, occorre che i contadinigettino la loro borghesia a mare. Il lettore è severamente messo inguardia contro le alienazioni più pericolose: il leader, il culto dellapersona, la cultura occidentale, ma altresì il ritorno del remotopassato della cultura africana: la vera cultura è la Rivoluzione; ilche vuol dire che essa si modella a caldo. Fanon parla a voce alta;noi, europei, possiamo udirlo: prova ne sia che tenete questo librotra le mani; forse non teme che le potenze coloniali tragganoprofitto dalla sua sincerità? No. Non teme nulla. I nostriprocedimenti non son più aggiornati: possono ritardare talvoltal'emancipazione, non la fermeranno. E non figuriamoci di poterridimensionare i nostri metodi: il neocolonialismo, sogno pigrodella Metropoli, è fumo; le «Terze Forze» non esistono oppuresono le borghesie fasulle che il colonialismo ha già messo alpotere. Il nostro machiavellismo ha poca presa su quel mondosveglio che ha snidato una dopo l'altra le nostre menzogne. Ilcolono ha solo un rifugio: la forza, quando gliene resta; l'indigenoha solo una scelta: la servitù o la sovranità. Cosa puòimportargliene, a Fanon, che voi leggiate o no la sua opera? Eglidenuncia ai suoi fratelli le nostre vecchie furbizie, sicuro che nonne abbiamo di ricambio. E' a loro che dice: l'Europa ha messo lezampe sui nostri continenti, occorre trinciarle fino a che le ritiri; ilmomento ci favorisce: niente succede a Biserta, a Elisabethville,nel "bled" algerino senza che la terra intera ne sia informata; iblocchi assumono partiti contrari, si tengono in rispetto,approfittiamo di questa paralisi, entriamo nella storia e la nostrairruzione la faccia universale per la prima volta; battiamoci: inmancanza d'altre armi la pazienza del coltello basterà .Europei, aprite questo libro, andateci dentro. Dopo qualchepasso nella notte vedrete stranieri riuniti attorno a un fuoco,avvicinatevi, ascoltate: discutono della sorte che riserbano allevostre agenzie generali di commercio, ai mercenari che ledifendono. Vi vedranno, forse, ma continueranno a parlar tra loro,senza neanche abbassare la voce. Quell'indifferenza colpisce alhttp://cultura-non-a-pagamento.blogspot.it/

cuore: i padri, creature dell'ombra, le "vostre" creature, eranoanime morte, voi dispensavate loro la luce, non si rivolgevano senon a voi, e voi non vi prendevate la briga di rispondere a quegli"zombies" (1). I figli vi ignorano: un fuoco li rischiara e li riscalda,che non è il vostro. Voi, a rispettosa distanza, vi sentirete furtivi,notturni, agghiacciati: a ciascuno il suo turno; in quelle tenebre dacui spunterà un'altra aurora, gli "zombies" siete voi .In tal caso, direte voi, buttiamo quest'opera dalla finestra.Perché leggerla giacché non è scritta per noi? Per due motivi, di cuiil primo si è che Fanon vi spiega ai suoi fratelli e smonta per loro ilmeccanismo delle nostre alienazioni: approfittatene per scoprirvi avoi stessi nella vostra verità d'oggetti. Le nostre vittime ciconoscono dalle loro ferite e dai loro ferri: questo rende la lorotestimonianza irrefutabile. Basta che ci mostrino quel che abbiamfatto di loro perché conosciamo quel che abbiam fatto di noi. E'utile? Sì, poiché l'Europa è in gran pericolo di crepare. Ma, diretevoi ancora, noi viviamo nella Metropoli e condanniamo gli eccessi.E' vero: non siete coloni, ma non valete di più. Quelli sono i vostripionieri, voi li avete inviati oltremare, vi hanno arricchiti; liavevate avvertiti: se facevano scorrere troppo sangue, li avrestesconfessati in punta di labbra; allo stesso modo, uno Stato - qualeche sia - tiene all'estero una turba di agitatori, di provocatori e dispie che sconfessa quando li prendono. Voi, così liberali, cosìumani, che spingete l'amore della cultura fino al preziosismo, fatefinta di dimenticare che avete colonie e che là massacrano in vostronome. Fanon rivela ai suoi compagni - a certuni di loro, soprattutto,che restano un po' troppo occidentalizzati - la solidarietà dei«metropolitani» e dei loro agenti coloniali. Abbiate il coraggio dileggerlo: per questo primo motivo che vi farà vergogna e lavergogna, come ha detto Marx, è un sentimento rivoluzionario.Vedete: anch'io non posso sciogliermi dall'illusione soggettiva.Anche io vi dico: «Tutto è perduto, a meno che.» Europei, io ruboil libro d'un nemico e ne faccio un mezzo

I DANNATI DELLA TERRA Nell'opera di Fanon, e in particolare in questo suo libro, si è realizzata la presa di coscienza del significato universale della rivoluzione dei popoli coloniali e dell'avvento del "terzo mondo" come protagonista della nuova storia. Anche se il libro getta le sue

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